Ecco perchè vivo di filosofia

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EgoTrascendentale
view post Posted on 4/4/2011, 11:07




non sono complessivamente d'accordo.
ma sospetto che non sia stato abbastanza chiaro nel mio precedente intervento.
a me piace molto pensare alla verità (e alla Verità) come una dialettica dell'espressione, uno svolgimento in cui il latente emerge. questo procedimento possiamo chiamarlo tranquillamente apertura. mi verrebbe però da chiedere:
nel termine svolgimento, nel termine apertura restano senza determinazione "ciò" (o se preferisci "chi") svolge e chi s'apre.
e daccapo: abbiamo noi forse detto qualcosa su ciò verso cui ci si apre?
per quello che mi riguarda io tenderei a mettere il luce come questo svolgimento sia un mettere in relazione. parlerei appunto di Logos.
pensare che la verità sia fuori dal logos è assurdo.
pensare che il logos sia fuori dalla verità?
certo, si possono mettere in relazione cose false.

sulla 2nd parte: non mi pare proprio possibile che sia "molto meno pericoloso" tutelare le condizioni di possibilità di assenza di verità.
solitamente se il terreno è buono, l'albero cresce sano e forte.
in ogni caso, che vuol dire "assenza"?
 
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Sgubonius
view post Posted on 5/4/2011, 00:48




A me piace molto meno la dialettica invece! :D
Ritengo che più che stanarlo (in modo appunto un tantino hegeliano, ingrossando il proprio Io fino a tutto il reale per non farsi scappare più niente), il vero si riveli da sé, qualora si è in grado di creare le condizioni di possibilità per la sua manifestazione. Non è un lavoro di sottrazione a modi teologia negativa, ma un lavoro di "smarginatura", di costruzione di margini, di contenitori che accolgano quanto si dà. Però è chiaro che sono punti di vista filosofici diversi, in buona parte opposti, il mio è molto heideggeriano almeno nella forma in cui te lo pongo ora, il tuo credo sia più che hegeliano di stampo husserliano e sai che Heidegger poi viene fuori da lì. C'è infatti in comune l'idea di un Logos (che credo sia sinonimo di Aletheia proprio in alcuni testi di Heidegger, come i commenti ad Eraclito) come relazione (ricordo segnatamente che logos ha la radice di raccogliere, legare).

Tuttavia non credo che lo statuto di questa relazione sia analogo, per esempio il chi e il cosa che ponevi sono diversi. L'ego trascendentale per esempio non avrebbe più un suo ruolo preciso (a rivelarsi è l'Essere o la Verità a se stesso/a) così come non c'è più la possibilità di distinguere effettivamente fra una relazione falsa ed una vera (d'altronde qui gioca il suo ruolo l'ego trascendentale), vero è già soltanto l'accadere di una relazione qualsivoglia, semmai il falso può diventare spinozianamente una questione etica.

Quando parlavo di tutelare l'assenza di verità intendevo tutelare la Verità come apertura, che significa come dicevo sopra costruire dei contenitori (concettuali) adeguati, ospitali, funzionali, delle casse armoniche il più possibile dinamiche e flessibili. Questi concetti, che sono il pane quotidiano e l'arma del filosofo, non devono mai prevaricare la loro funzione di mezzi e diventare dei fini, delle idee o meglio degli ideali da presiedere serrati come fortezze. Ma ancora una volta non ci si apre alla dialettica, ci si apre all'evento. E' diverso. Non siamo noi a dover dire qualcosa su ciò a cui ci si apre, servirebbe più saper ascoltare ("hai le mie orecchie" dice Nietzsche in un ditirambo di Dioniso), o meglio diciamo saper fare le domande. Chiaro che è più facile vedere un riflesso di questo nell'opera d'arte che nei trattati de rerum natura.
 
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alice_w
view post Posted on 6/4/2011, 13:02




CITAZIONE
ci si apre all'evento. E' diverso. Non siamo noi a dover dire qualcosa su ciò a cui ci si apre, servirebbe più saper ascoltare ("hai le mie orecchie" dice Nietzsche in un ditirambo di Dioniso), o meglio diciamo saper fare le domande

Per veridicità, ciò a cui ci si apre può prescindere dal dir(si) (anche quando questo dirsi lo chiamiamo ascolto) qualcosa su ciò che nell'aprirsi accade?
Posso fermarmi di fronte all'evento, subire l'evento senza dirmi dell'accadere dell'evento stesso? Un puro lasciar parlare senza pensare che per lo meno l'ascolto preveda qualcosa che può essere ascoltato?
Senza il dir(mi) l'evento, l'evento è ancora evento?
O, presa da un'altra prospettiva, è forse l'evento a porre la possibilità di aprir(mi)?

Edited by alice_w - 6/4/2011, 14:22
 
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Sgubonius
view post Posted on 7/4/2011, 00:29




Qui si andrebbe un po' nei dettagli, dipende che contenitore concettuale (linguaggio) vogliamo inventarci.
Io credo che la forma stessa dell'esperienza, e ancor più della concettualizzazione, preveda che l'Aperto si dà solo nel suo "chiudersi", ovvero nel suo dileguare (termine hegeliano: verschwinden) o nel suo ri-celarsi (termine heideggeriano: a-letheia). L'evento resta sempre ciò che e-viene, che sta fuori dal discorso essendone l'inizio. Il discorso è il "precipitato" dell'evento nelle forme dell'autocoscienza, del dirsi e dell'ascoltarsi, e quindi del concetto e dell'idea.

Certo il modo in cui costruisci i tuoi contenitori "in-forma" il modo in cui il precipitato va a sedimentare. Tuttavia l'evento come "archistruttura", come ciò che sta prima di ogni struttura, permette (è letteralmente condizione di possibilità, più o meno kantianamente) anche l'apertura, come scelta etica.

L'orecchio-labirinto in Nietzsche per esempio, luogo d'incontro di Arianna e Dioniso, è una struttura/linguaggio/concetto che tipicamente cerca di mantenere l'Aperto il più possibile irrisolto e quindi libero di circolarvi dentro (senza farselo sfuggire). Ci sarà una dialettica poi interna agli "ossicini" dell'orecchio, nella risonanza, è il momento in cui arriva il dirsi e l'ascoltarsi, ma senza aver esaurito la carica e-veniente che arriva dall'Aperto (o quantomeno avendo "differito" il più a lungo possibile il riacquietarsi mortale nella sintesi).

In parole povere: è necessario dirsi e ascoltarsi, nella dialettica interna del concetto, tuttavia interverrà sempre l'Aperto e l'eventuale, nei buchi, negli intervalli, fra un punto di sintesi e il successivo, a rimettere in gioco il discorso. Quantomeno interverrà finché ci saranno le condizioni di possibilità, cioè strutture sufficientemente elastiche (diciamo anche "vitali") da non essere sorde. Nel grande artista troviamo la capacità di dirsi, di cantare se stesso, e contemporaneamente di cantare il differente, il divenire inesauribile, e il grande filosofo non fa niente di diverso: pone problemi e costruisce domande degne/i di tale nome.
 
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alice_w
view post Posted on 8/4/2011, 22:09




CITAZIONE
preveda che l'Aperto si dà solo nel suo "chiudersi"

credo che sia la steaa cosa che mi dico io, ovvero che il nascondimento sia l'essenziale modo di darsi dell'Aperto. Quel ri-celarsi o ri-velarsi che più che di tutela, nietzschianamente parlando, mi ritrovo a considerare individuandolo nel profondo senso pudore e nell'intima segretezza, armonia nascosta del Manifestarsi.
CITAZIONE
L'evento resta sempre ciò che e-viene, che sta fuori dal discorso essendone l'inizio.

trovo in questo un'eco aristotelica "il principio del logos non appartiene al logos"
CITAZIONE
Il discorso è il "precipitato" dell'evento

e il discorso è, in questo senso, anche distanza dall'evento.
CITAZIONE
L'orecchio-labirinto in Nietzsche per esempio, luogo d'incontro di Arianna e Dioniso, è una struttura/linguaggio/concetto che tipicamente cerca di mantenere l'Aperto il più possibile irrisolto e quindi libero di circolarvi dentro (senza farselo sfuggire).

Il labirinto è quel luogo che include in sè nessuna via di fuga o forse troppe da sembrare infinite, una chiamata continua al decidersi :)

Edited by alice_w - 8/4/2011, 23:29
 
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Sgubonius
view post Posted on 10/4/2011, 00:27




Io penso ci sia in Nietzsche, e in particolare nel nucleo concettuale del "pathos della distanza" a cui appartiene anche la questione del velo, del pudore (la vecchia aidos tragica), qualcosa che non si discosta molto non solo dall'eraclitismo ma anche dal vero heideggeriano, per quanto Heidegger abbia fatto di tutto per fare di Nietzsche la massima espressione dello svelamento violento e forzato, impudico, del segreto dell'essere. Sarebbe un capitolo molto lungo.

Riguardo la questione del principio che non appartiene è una delle cose più vecchie della filosofia (prima di Aristotele arriva senza dubbio dall'epekeina tes ousias platonico che ha a sua volta radice parmenidea), il grosso problema dell'Uno e della condizione di possibilità, insomma della trascendenza. Anche qui capitolo lunghissimo e fruttuosissimo (forse sintesi ideale di tutta la storia della filosofia occidentale). Che poi è lo snocciolarsi di diverse posizioni intorno al rapporto Verità-vero di cui si parlava sopra.
 
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alice_w
view post Posted on 10/4/2011, 20:00




Mi rendo conto che è un capitolo inesuaribile, brevemente, io penso sia forte in Nietzsche la persuasione a non percorrere quel solco millenario che intende la conoscenza una sorta di liberazione della Verità, un totale svelamento. Paradossalmente Nietzsche propone una liberazione da quella verità assoluta ed è con questo gesto ad aprire la prospettiva in cui è proprio il carattere fondamentale del vero ad accadere/apparire/essere: l'obliarsi come parte costituente. E non un vero relativo, perchè per poter essere detto relativo dovrebbe poter essere rapportato ad un assoluto.
Concludo con una annotazione: a me piace pensare che le diverse prospettive non appartengano a me a te a lui o a loro e nè possiedo mie verità o una mia verità. (magari!) E quello che scritto può essere una maschera, un modo di presentare l'eterno obliare un abisso da cui, forse, non ci è dato sporgerci.

Edited by alice_w - 10/4/2011, 21:22
 
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