Mente e Cervello, Ascesa e caduta del concetto di coscienza

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Farvat
icon5  view post Posted on 2/10/2007, 09:27




Leggevo proprio ieri sera, le Meditazioni scritte da Descartes, un opera filosofica che non solo ha fatto epoca ma che forse più di tutte ha influenzato la filosofia occidentale ponendo la base per il dualismo mente e corpo, dicotomia direi almeno a livello linguistico inevitabile anche per chi si faccia sostenitore di un rinnovato monismo.
Quello che a una prima lettura emerge abbastanza visibile è l'ingenuità, l'inconsistenza, la puerilità dei ragionamenti, non tanto riguardanti la Pars Destruens tutto sommato oggi mai così attuale, quanto quelli che formano la Pars costruens. Descartes edificò un edificio maestoso, una cattedrale intorno a cui tutta la filosofia occidentale avrebbe dovuto edificare a sua volta, ma credo fu chiaro fin dall'inizio che tale edificio era destinato a cadere in rovina nel corso dei secoli, Cosa che puntualmente è in effetti avvenuta. Quella Cattedrale si chiama naturalmente Coscienza, Io, Soggetto.
Le "idee chiare e distinte" che la coscienza ha in sè, risultarono già a Malbranche subito abbastanza oscure e confuse, e pian piano quest'idea che la coscienza conoscesse infallibilmente i propri oggetti così come i propri stati divenne via, via sempre più dubbia. La divisione operata da Descartes della coscienza in due Res distinte, la res cogitans e la res extensia era destinata ad acuire ancora di più la distanza tra mondo intellettivo e mondo sensibile saldato praticamente solo dalla ghiandola pineale, ma il cui unico vero garante rimaneva Dio, che per sua natura si supponeva in uno slancio raro di ottimismo non potesse ingannare come il presunto "genio maligno".
Stessa sorte finiva per fare non solo la primitiva rappresentazione del corpo, come macchinario idraulico, ma soprattutto la localizzazione di un Homunculus che situato in un zona precisa del cervello operava il vaglio dei dati sensibili e operava le conseguenti decisioni. L'idea che non solo già rischiava di innescare un regresso all'infinito, con un omuncolo dentro l'altro, ma che le moderne neuroscienza ormai smentiscono con "cognizione" perdonatemi la battuta, di causa o mancanza di localizzazione precisa di essa.
Al povero Descartes non andò comunque meglio nemmeno in fisica, visto che al confronto con quella di Newton la sua teoria rivale dei vortici, si rivelò non solo matematicamente iper-complessa ma completamente farlocca. Così a tutt'oggi Descartes è ricordato come grande matematico ma soprattutto per quel "Cogito Ergo Sum" che sta alla base della sua unificazione tra coscienza e soggettività.
Il cogito, il definirsi del filosofo francese come "cosa pensante", è il concetto che più di tutti ha posto la base per intere filosofie, l'appercezione pura che ci libera almeno da un dubbio fra i tanti, cioè quello di esistere e di esserne consapevoli. Appercezione che Kant definisce "io puro" che in effetti è un paradosso, perché possiamo anche dire in senso più moderno con Franz Brentano, che la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa, ma come faccia la coscienza a farsi oggetto di se stessa resta un problema irrisolto. Per certi versi è meglio così, come cosa pensante so di essere, non so cosa ma almeno so che sono, e anche fossi una raffinata illusione per essere tale dovrei pur sempre essere. Come molto saggiamente insegnava Kant l'esistenza non è una proprietà, ma una precondizione per ogni cosa.
Ma fossi in voi non canterei vittoria troppo presto, dire "sono" esprimere la copula non signifca che poi effettivamente ci sia qualcuno che stia.. copulando (perdonatemi ancora la battuta). In effetti l'io, la soggettività ha forse subito soprattutto nel novecento uno degli assedi più violenti mai perpetrati, paragonabile solo a quello subito da altri due concetti in fondo a questo strettamente imparentati ovvero "Dio" e "Verità".
Sotto le martellate dei vari "maestri del sospetto" (Nietzsche e Freud), incatenate alla logica del determinismo positivista alla Compte prima, ed alla ferrea programmazione genetica poi, sotto l'analisi invasiva delle "scienze cognitive"con i loro "brain imaging", l'Io sembra la punta di un iceberg in procinto di sciogliersi a causa dei mutamenti climatici in corso.
La mente si riduce ad un elegante epifenomeno, che come ho sentito recentamente è paragonabile ad "una macchia d'olio nel brodo", i pensieri sono come fumo che sbuffano dal cervello e così via, almeno i neuro scienziati più beceri e retrogradi sostengono ancora queste ipotesi. Ma i più raffinati, rifacendosi al filosofo analitico Ryle, connotano la mente come fenomeno emergenziale della sostanza cerebrale, i pensieri sorgono dalle interazioni neurali, ascrivibili a processi di algebra booleana e forse in definitiva riducibili a bit. insomma come da una massa d'aria si formano i tornadi, cioè come dalle diverse parti emerge qualcosa che è più della loro somma, aprendo le porte si a concezioni olistiche, ma anche trovandosi di fronte alla mente conscia che ha proprietà sue particolari non riducibili completamente a quelle del cervello, ma che mostra ancora di più quanto come fenomeno sia impervio da analizzare in modo completo ed efficace. Del resto tutti oggi parlano di emergenza ma se poi si ha cura di chiedere che diavolo vuol dire e che significato abbia tutti tacciono. Ma in genere si trovano quasi tutti d'accordo nell'asserire che il concetto dell'io cartesiano ha ormai tirato le cuoia e alcuni duri e puri sostengono apertamente che di libero arbitrio, volontà, intenzionalità è inutile ormai parlare: sono tutte illusioni.
E' certamente un asserzione pesante, sopratutto è anche un'idea tutto sommato pericolosa, e c'è da chiedersi che accadrebbe se venissimo tutti educati a pensare di essere solo degli zombie schiavi delle funzioni corporee, dei nostri geni, del nostro inconscio, delle pubblicità, degli psicofarmaci e così via. Sarebbe certamente una società perfetta e ordinata, dove tutti marciano in fila, sorridono e sono felici, stupidi e felici insetti di un meraviglioso alveare e chissà perché ho l'impressione che ci sarebbe sempre qualche ape regina, che stranamente mostrerebbe segni di coscienza e incredibilmente deciderebbe moralmente per tutti gli altri.
Poi certi scienziati si lamentano che la vecchia filosofia continentale dice loro "Che non pensano" del resto che altro si può dire loro, se sono i primi a sostenere che l'io non esiste, i buoni vecchi filosofi gli danno finalmente ragione e si lamentano pure... Ingrati! E chi fa notare questo paradosso, cioè che degli esseri incoscienti manifestino di esserlo coscientemente, si risponde che non è così semplice. E' vero certo non lo è, come non è così semplice smantellare l'io sulla base del fatto che non capiamo affatto cosa sia la soggettività e dato che non sappiamo spiegarla diciamo semplicemente che non esiste. Non è un atteggiamento molto scientifico ma è triste notare che nella storia del pensiero è un comportamento ricorrente, ovvero l'eterno ritorno della stupidità umana.
Naturalmente ci sono posizioni minoritarie all'interno della scienza, che sostengono che la scienza con la coscienza ci finirà prima o poi con lo sbatterci i denti, ma forse avevano più ragione gli empiristi Locke e Hume che affermavano una verità che pochi vogliono affrontare: fate quello che volete, dite quello che volete, andate pure in capo al mondo, dalla coscienza come dal vostro orizzonte non potrete uscire... Mai.

Emotio ergo sum... :shifty:


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EgoTrascendentale
view post Posted on 2/10/2007, 14:46




Caro Far, come sai il tema della coscienza è per me un punto fondamentale
della mia riflessioncina filosofica.
Inizio a risponderti a partire dalla questione "descartes".

è noto che l'idea cartesiana di riformulare la scienza a partire dalla "radici", sia nobile quanto arduo. Husserl, nell'opera che maggiormente riprende l'impostazione cartesiana (le "meditazioni cartesiane" appunto) denuncia:
"sembra così facile cogliere l'io puro seguendo descartes!".
questa denuncia non è casuale, e non è neppure retorica!!

La dicotomia cartesiana non è linguistica, apparente, ma è sostanziale.
Infatti nella Prima M.m., cartesio si domanda cosa è "reale" e cerca di distinguerlo.
poi prosegue e si domanda come sia possibile che sia "in veglia" che "in sogno" 2+2 faccia cmq 4 e un triangolo sempre 3 lati ha.
non di meno a questo Cartesio attua il dubbio radicale.
Husserl asserisce che l'idea matematica sia allora accettata come ovviamente valida, come un ideale scientifico meritevole di fiducia: però perchè io posso dubitare dei sensi, che "almeno 1 volta nella vita ci hanno ingannato", ma non devo dire che ho sbagliato a vedere un "quadrato", un "triangolo" nel sogno o nella veglia?
perchè non devo dubitare del fatto che stia ricordando male?
questa è l'errore cruciale che segna lo scacco agli occhi di Husserl della filosofia cartesiana.
infatti cartesio si sarebbe fermato "all'inizio dell'inizio" (cfr E. Husserl, storia critica delle Idee lez. XV). fermandosi all'io puro, al cogito, questo resta ancora una sorta di "premessa" di un sillogismo e nulla più.
tant'è che per "dedurre" (nel linguaggio della critica della ragion pura, dedurre significa "giustificare") il concreto cartesio deve ricorrere all'idea di Dio e alle idee matematiche.
ma come giustamente si chiede kant: che rapporto c'è tra dio, l'evidenza del cogito e le evidenze matematiche?
v'è forse qualche evidenza che ha un prestigio onto-metodologico sulle altre?
non quella di dio, perchè io il cogito lo deduco intellettualmente, per esclusione, attraverso un dubitare senza fine.
non quelle matematiche: dio non mi ha fornito nessun "numero" su cui costruire un sistema di simboli, nè da questi simboli che sono i numeri arrivo a dio.
non quella del cogito, che io devo giustifico solo attraverso il dubbio. ma il cogito ha bisogno di dio per sfuggire al solipsismo.

questo triangolo vizioso però non è il solo errore in cui incorre descartes.
infatti nel dualismo cartesiano non compare pienamente la distinzione, che Husserl chiamerà "noetico-noematica", tra il contenuto del pensiero e il pensiero come tale. detto volgarmente: se io dubito del pc che ho qui davanti (come accade in cartesio), non sto - proprio attraverso il dubbio - ipostatizzando una dignità ontologica alla cosa, alla cosa in quanto "dubitata"?

ed è qui che il dubbio cartesiano diventa "epoché fenomenologica": il dubbio cartesiano infatti vorrebbe negare l'essere della cosa.
l'epochè invece attraverso il dubbio, negando l'essere della cosa, afferma l'apparire della stessa.
ma se la cosa mi appare, apparendomi in qualche modo deve pur essere.
per cui mentre cartesio attraverso il dubbio arriva a sottoscrivere la res quale "ens realissimum", Husserl con l'epoché asserisce: tanto apparire quanto essere.
e non c'entra nulla dire che il sogno è più "reale" della realtà, che la realtà è più "reale" del ricordo ecc.

infatti, così come kant asseriva: l'esistenza non aggiunge nessun predicato nuovo al concetto della cosa che eventualmente si tratta, allo stesso modo Husserl: il ricordato, il percepito, l'immaginato non aggiungono nessun predicato nuovo al concetto della cosa. ma sono solo "differenze modali" cioè differenze dei modi di apparire di una cosa.
ecco perchè Husserl rilancia energicamente l'idea di una scienza "eidetica", scienza di "cose in-sé", perchè la cosa in-sé è quel sostrato, quell'eidos che resta identico al variare dei modi di apparire!

ma se vogliamo essere pedanti, le rappresentazioni che quest'io deve possedere, sono tutt'altro che ovvie.
ed infatti queste rappresentazioni non si capisce perchè debbano essere intese come "res".

possiamo dirla in una forma criptica e al tempo affascinante:
L'io-penso (cogito! Notamia) deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni.

ciò significa intanto che l'io penso non è una necessità ma una possibilità (deve poter...) (e qui il discorso diventa tremendamente pesante), e questa possibilità è nella rappresentazione.
ma le mie rappresentazioni possono essere accompagnate dall'esistenza perchè nella mia mente che rappresenta (Kant parla di Intelletto) il corrispettivo materiale è dato solo attraverso la sensibilità.
eppure, dal momento che la sensibilità attesta che qualcosa possa esserci come possa non esserci, allora se so quando una cosa è possibile, diventa inutile sapere quando attualmente è data oppure no.
è qui che Kant decide di darsi allo studio delle forme pure, sganciate da ogni contenuto possibile.
infatti, nota sottilmente Kant, l'idea di molteplicità, di causa, di effetto o relazione non sono desunte dalla realtà attraverso astrazione. ma al contrario sono concetti che guidano il mio sguardo e condizionano il mio vedere... esattamente come se stessi guardando attraverso lenti colorate, preferibilmente azzurre ;).

allora l'io penso stesso è una rappresentazione, ma nel modo di essere rappresentata si presenta una differenziazione cruciale: l'io penso in quanto rappresentante non concepisce mai se stesso pienamente poichè l'io rappresentante è già un io rappresentato in quanto "rappresentante".
e se lo stesso ragionamento lo applico alle cose, distinguo con facilità "fenomeni e noumeni"....

per kant questo scarto viene colmato in sede morale, attraverso la libertà di aderire al Dovere.

per fichte vorrà dire che questo scarto abbatte la cosa in-sè, che è una rappresentazione di qualcosa che non può essere rappresentato, se non come non-rappresentabile, ovvero mi rappresento una realtà che sfugge ad ogni rappresentazione: è la prima formulazione piena dell'idealismo trascendentale.

per Schelling questa opposizione sarà l'identità nell'identità di essere e pensare. una identità che si da attraverso il punto di vista dell'artista che si innalza dalla parzialità del proprio tempo attraverso il monum-mento (che è pur sempre un "docu-mento" per i posteri. il monumento allora "docet" ai posteri come si è dato lo spirito in un dato tempo).

per Hegel questo jato ontologico è irrisolvibile dall'intelletto, che funziona per rigide rappresentazioni. fluidificare queste rappresentazioni di "io rappresentante" e "io rappresentao" significa tornare all'idea eraclitea del principio di negazione: A= - A, l'identità di essere e pensiero, l'idea che si riconosce (si sa) tramite il suo "Non-essere" la natura.


Ecco perchè l'idealismo cartesiano è ancora descritto da hegel come vuoto ed astratto, formale e assiomatico.
del resto lo stesso heidegger riconosce che la linea di sviluppo "cartesio-hegel" non è altro che il tentativo di inverare la res cogitans in quanto pensiero.

da aspirante fenomenologo non posso essere d'accordo con descartes.
credo infatti che l'idea cartesiana di restaurare la res sia dovuto a fattori politici prima ancora che teoretici.
faccio per inciso notare che la prima opera "seria" di cartesio non è un trattato, non è un saggio, non è una meditazione, ma è un "discorso" sul metodo.
e una volta compreso il metodo si da alla composizione di una opera che dimostra l'esistenza di dio.
credo per capire e capisco per credere?

morale: sono convinto che il discorso cartesiano miri alla restaurazione della filosofia di tommaso, detto "san" :)
 
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Farvat
view post Posted on 5/10/2007, 10:22




Come ti ho già riferito la tua risposta è stata davvero fonte di parecchi chiarimenti, ma ogni bagliore porta sempre con sé anche nuove domande e nuove chiarificazioni necessarie.



CITAZIONE
La dicotomia cartesiana non è linguistica, apparente, ma è sostanziale.
Infatti nella Prima M.m., cartesio si domanda cosa è "reale" e cerca di distinguerlo.
poi prosegue e si domanda come sia possibile che sia "in veglia" che "in sogno" 2+2 faccia cmq 4 e un triangolo sempre 3 lati ha.
non di meno a questo Cartesio attua il dubbio radicale.
Husserl asserisce che l'idea matematica sia allora accettata come ovviamente valida, come un ideale scientifico meritevole di fiducia: però perchè io posso dubitare dei sensi, che "almeno 1 volta nella vita ci hanno ingannato", ma non devo dire che ho sbagliato a vedere un "quadrato", un "triangolo" nel sogno o nella veglia?
perchè non devo dubitare del fatto che stia ricordando male?
questa è l'errore cruciale che segna lo scacco agli occhi di Husserl della filosofia cartesiana.
infatti cartesio si sarebbe fermato "all'inizio dell'inizio" (cfr E. Husserl, storia critica delle Idee lez. XV). fermandosi all'io puro, al cogito, questo resta ancora una sorta di "premessa" di un sillogismo e nulla più.
tant'è che per "dedurre" (nel linguaggio della critica della ragion pura, dedurre significa "giustificare") il concreto cartesio deve ricorrere all'idea di Dio e alle idee matematiche.

La divisione con cui Cartesio separa le sostanza in due distinte, non era proprio una sua invenzione, ma diciamo che egli la codifica per la posterità in quel rigido dualismo che la filosofia come la scienza hanno cercato e ancora cercano con grossi sforzi di eliminare. Per Cartesio in modo un po oscuro la sostanza unica è Dio che è generatore della dualità tra spirito e materia, ma tale soluzione è un po strumentale, ed inoltre non soddisfa affatto l'esigenza di comprendere il rapporto che esiste tra mente e corpo. L'occasionalismo tenderà ad esempio a risolvere la questione facendo di Dio stesso il rapporto di connessione tra i due mondi. Ma è palese dire che tale soluzione verrà poco seguita, ma al contrario si tenderà a risolvere il rapporto in un monismo materialista o spiritualista.
Mi sembra invece che Husserl tenda ad una forma di idealismo che però lascia questa dualità, nel senso che l'errore che egli imputa a Cartesio è quello di aver comunque considerato il cogito, la sostanza pensate come particella del mondo, cioè includendola nel mondo naturale. Per Husserl se ho compreso bene l'io non è parte del mondo ma ne risulta separato, in questo senso la dualità Cartesiana non solo non si risolve ma si acuisce. L'io non solo è separato ma rigidamente senza presupposti, in questo caso, Husserl vira sensibilmente verso l'idealismo Fichtiano, perché un Io senza sfondo, è un Io assoluto, è L'Assoluto.
Credo di aver colto che egli si salvi dal solipsismo conseguente, considerando in primis il mondo come trascendente, governato da un logos (Husserl malgrado il suo cristianesimo propendeva per un Dio dei filosofi, a differenza di Edith Stein di posizione tomistica), secondo nella scoperta dell'intersoggettività, del "mondo della vita" concezione che veniva a ribalaltare la propensione solipsistica della fenomenologia.
Ora qui potrebbe anche fare la sua comparsa Nietzsche e domandare sornione da buon maestro del sospetto se siamo proprio sicuri che L'Io, il cogito non abbiano sfondi ne presupposti, se questa soggettività di cui noi facciamo vanto come idea chiara e distinta non sia invece una sovrastruttura linguistica, se la concezione che noi abbiamo di noi come esseri intenzionali non sia invero il modo entro cui i sistemi di potere ci hanno educato nella morale del gregge, sotto il bastone della colpa, perché solo nell'intenzionalità è possibile essere giudicati come colpevoli.
Poi potrebbe farsi avanti Freud (che tra l'altro seguì anche lui le lezioni di Brentano) e sostenere che quell'io non è affatto vero che non ha dei presupposti, anzi quella finestra che chiamiamo soggetto ha almeno tanto mondo inconscio dentro di lui di quanto ne abbia fuori di lui e che di quegli stati mentali che crediamo di conoscere così bene, sono in verità piuttosto confusi, ma soprattutto quell'intenzionalità crediamo di poter dirigere, non siamo sempre noi ad avere il timone in mano. Di li a dire che la nave della soggettività naviga per i fatti suoi il passo è breve.
Non è tanto che Husserl con la sua separazione da lui operata tra Ego psicologico ed Ego trascendentale sfugga completamente a queste asserzioni, perché il termine intenzionalità ha un significato ambiguo, ovvero tecnico per Brentano, cioè nel senso che la coscienza ha sempre un contenuto, ma anche può significare fuori dalla fenomenologia un agire volontario e appunto "intenzionale". La vera questione della soggettività è tutta qui, io posso accettare l'accezione fenomenologica di intenzionalità e con tutta tranquillità negare l'altra; la coscienza può avere degli oggetti su cui si dirige, ma l'io è solo parte di un meccanismo e quindi un'illusione, è qui secondo me che si dovrebbe svilluppare il discorso.

CITAZIONE
infatti, così come kant asseriva: l'esistenza non aggiunge nessun predicato nuovo al concetto della cosa che eventualmente si tratta, allo stesso modo Husserl: il ricordato, il percepito, l'immaginato non aggiungono nessun predicato nuovo al concetto della cosa. ma sono solo "differenze modali" cioè differenze dei modi di apparire di una cosa.
ecco perchè Husserl rilancia energicamente l'idea di una scienza "eidetica", scienza di "cose in-sé", perchè la cosa in-sé è quel sostrato, quell'eidos che resta identico al variare dei modi di apparire!

MA questi Eidos per Husserl cosa sono? Ho letto alcune interpretazioni di Husserl in senso platonico, ma dato ormai per sconfitto il nominalismo, Husserl come interpreta gli universali? E' un concettualista?



 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/10/2007, 12:48




CITAZIONE (Farvat @ 5/10/2007, 11:22)
La divisione con cui Cartesio separa le sostanza in due distinte, non era proprio una sua invenzione, ma diciamo che egli la codifica per la posterità in quel rigido dualismo che la filosofia come la scienza hanno cercato e ancora cercano con grossi sforzi di eliminare.

vero, la separazione avviene principalmente con platone. ma mentre in platone è ancora linguistica e "mitica", in cartesio la cesura è netta.
di mezzo ci stanno i teologi medievali. sarai d'accordo con me nell'asserire che la separazione avviene in modo mediato e graduale nel corso della storia delle Idee.
In platone, secondo la bellissima metafora della relatrice G. Tagliavia, le idee sono un pò come il nostro cielo a partire dal quale ci osserviamo gli aquiloni spostarsi. Noi che guardiamo verso l'alto, il cielo sullo sfondo resta lì, immobile e fa da sistema di riferimento al moto (divenire) degli aquiloni.
per tanto la distinzione tra sensibile e metasensibile non è la distinzione che sarà presente e forte in kant nella CRP quando si distingue Estetica Trascendentale dall'Intelletto. infatti platone non ha bisogno di uno schematismo trascendentale perchè regredendo la visione al ricordo dell'eidos crea questa trascendenza del sensibile verso il metasensibile.
ma questa trascendenza non è metodologica, non è "mentale" (in senso moderno) ma è propriamente ontologica. è la famosa "metessi" tra eidos e cosa sensibile.
in cartesio ciò sussiste ancora ma lo può solo perchè ci sta da una parte il cogito e dall'altro dio.
infatti tutta la filosofia fino a Kant escluso avrebbe trovato in Dio la "figura" mgliore per garantire l'accordo tra intelletto e cosa (sto pensando - seppur opposti - a Spinoza e a Berkeley).
proprio la critica della ragion pura metterà fuori gioco Dio. infatti l'accordo tra cosa e intelletto dipende dalle leggi dell'intelletto: se io tolgo l'intelletto così come, anche la cosa così com'è sarà diversa.
si tratta di ciò che kant dichiara essere il suo maggiore contributo alla filosofia: la famosa "rivoluzione copernicana".

la separazione veramente netta tra le res è cmq assai problematica, perchè riguarda lo statuto ontologico del male.
come può essere inteso il male del mondo (invasioni barbariche, guerre, peste, carestie ecc...) se siamo stati tutti "già salvati" dal sacrificio del Cristo?

non dimentichiamo lo sforzo di quanti hanno inteso che il Male è il Non-essere.
ma qui ritorna prepotente la domanda: se il male è il non-essere che cos'"è" questo male che sento?
nasce la distinzione in modo assai sottile tra essenza ed esistenza.
la scoperta fu tale che Tommaso decise di dedicarvi un'opera (De essentia et de esistentia).
Opera che dovette impressionare non poco una giovine studentessa di origine ebree assistente di zio Ed (leggi: Husserl).

la questione del male, del diavolo, del peccato comportano dei problemi teleologici che hanno risvolti pesantissimi sulla filosofia: la libertà dell'individuo nella politica e nell'etica di aristotele ha nulla a che vedere con il peccato.
e del resto, ironia della sorte, nel Medioevo come in Socrate scompare la distinzione tra reato e peccato perchè in ambedue i casi si deve rendere conto non all'uomo bensì al dio.

Cartesio riprende tutto ciò come quasi un'ovvietà. del resto si era formato presso i gesuiti....
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/10/2007, 13:25




CITAZIONE (Farvat @ 5/10/2007, 11:22)
Mi sembra invece che Husserl tenda ad una forma di idealismo che però lascia questa dualità, nel senso che l'errore che egli imputa a Cartesio è quello di aver comunque considerato il cogito, la sostanza pensate come particella del mondo, cioè includendola nel mondo naturale. Per Husserl se ho compreso bene l'io non è parte del mondo ma ne risulta separato, in questo senso la dualità Cartesiana non solo non si risolve ma si acuisce. L'io non solo è separato ma rigidamente senza presupposti, in questo caso, Husserl vira sensibilmente verso l'idealismo Fichtiano, perché un Io senza sfondo, è un Io assoluto, è L'Assoluto.

No l'idealismo husserliano respinge in maniera netta e decisa la cesura dualistica. anzi, un giorno Gadamer [cfr: il movimento fenomenologico] arrivò ad affermare che Husserl parli di idealismo fenomenologico in un senso estraneo alla tradizione filosofica.
e la riprova di ciò consiste nel fatto che a partire da Husserl è possibile etichettare il problema della realtà esterna come "pseudoproblema" dal momento che la posizione husserliana permette di gettare discredito alla dicotomia "idealismo/realismo".
per Husserl, ho spesso ripetuto, l'essere è tutto ciò che appare.
nel pensiero comune solo ciò che è può apparire.
ma stando a questa posizione si finisce nell'intraprendere la strada di cartesio: dubito di tutto perchè ci può essere quel gran bricconcello del genio maligno che si diverte a beffarsi di me.
nella fenomenologia le cose stanno al contrario: qualsiasi cosa sia in relazione con me è cmq una apparenza indubitabile:
se cartesio non si fondasse su questa considerazione (seppur inconsciamente) non potrebbe dubitare di ciò che gli appare.
provo a dirlo meglio: cartesio vede un cane e ci applica il dubbio metodico.
A) per dubitare del cane io devo aver un agglomerato di notizie (tu parleresti di informazioni credo) tali da poter dire: alt, c'è qualcosa che non va, questo cane potrebbe essere frutto del genio maligno.
ma come fa il genio maligno ad ingannarmi su qualcosa che non è?
dire che questo cane è un fantasma non significa che è, che in qualche modo certamente è?
senza dubbio. ma posso negare che io dico che questo cane è fantasma, reale, vero, finto, bello brutto ecc, se non tramite l'apparizione di questo essere?
cartesio ritorna a bomba: il genio maligno astuto ed ingannatore! attenti! attenti!
ma Husserl risponde: se non ti apparisse non ci potresti dubitare di sto cane!
quindi l'essere formale mi è dato da un apparire sostanziale.
ergo, se qualcosa mi appare sicuramente è, se è non è detto che appaia.
ma nel contemplare l'"ipotesi" <<se è non è detto che appaia>>, io sto facendo "apparire" questo essere. in che modo?
nel modo di un'ipotesi! :o:

B) il mio dubitare stesso deve essere esente dall'analisi del dubbio. anche perchè si innesca l'argomento del terzo uomo. cartesio in effetti non avrebbe mai potuto attuare un'analisi egologico-trascendentale poichè gli mancava l'idea di una egologia piena e concreta completamente autonoma non tanto dal punto di vista ontologico - com'è avviene chiaramente in Fichte (L'io penso è il creatore della Realtà) - dal punto di vista metodologico.
nella Idee Husserl ha asserito che l'idealismo è necessario alla fenomenologia perchè l'oggetto della fenomenologia non è la cosa come tale in senso ontologico (alla maniera degli empiristi e dei positivisti) ma nel senso in cui la cosa si da nella conoscenza, ma non c'è una conoscenza che non abbia un saputo.
così come il "saputo" non è l'oggetto scevro della conoscenza ma è una sintesi tra le forme pure dell'intelletto (le 12 categorie di kant per intenderci) l'apriori materiale (i presupposti metodici alterano i fenomeni) e quindi anche il modo in cui la cosa ci si "prospetta".
se la cosa ci si prospetta attraverso il microscopio è chiaro che è necessaria una analisi anche del microscopio poichè esso è il "mezzo" attraverso cui l'oggetto si costituisce come oggetto.
ma mentre per Husserl tutto ciò è ancora "conoscenza", per Heidegger significherà che le cose come sono, l'essere delle cose, si da in una dimensione pragmatica antecendete ad ogni contemplazione teorica.
da qui le differenze tra Husserl e Heidegger, su cui mi son già espresso e lì ti rimando.
per Husserl la conoscenza è la forma più generale della relazione tra l'io e il non-io.

e quando ho chiuso tutto dentro la relazione "conoscenza" (ecco perchè "idealismo trascendentale") ho risolto il dualismo proprio nel "tra" di "relazione tra", nel "direttamente alle" di "direttamente alle cose stesse".
e del resto se andiamo a guardare le analisi sulla conoscenza portate avanti da Husserl si nota come queste abbiano sempre più finito col coincidere con la celebre espressione "intenzionalità".
anche se Husserl ha riconosciuto nella Krisis delle forme diverse di intenzionalità, vero è che man mano ha allargato gli orizzonti della conoscenza come tale.

CITAZIONE (Farvat @ 5/10/2007, 11:22)
Ora qui potrebbe anche fare la sua comparsa Nietzsche e domandare sornione da buon maestro del sospetto se siamo proprio sicuri che L'Io, il cogito non abbiano sfondi ne presupposti, se questa soggettività di cui noi facciamo vanto come idea chiara e distinta non sia invece una sovrastruttura linguistica, se la concezione che noi abbiamo di noi come esseri intenzionali non sia invero il modo entro cui i sistemi di potere ci hanno educato nella morale del gregge, sotto il bastone della colpa, perché solo nell'intenzionalità è possibile essere giudicati come colpevoli.
Poi potrebbe farsi avanti Freud (che tra l'altro seguì anche lui le lezioni di Brentano) e sostenere che quell'io non è affatto vero che non ha dei presupposti, anzi quella finestra che chiamiamo soggetto ha almeno tanto mondo inconscio dentro di lui di quanto ne abbia fuori di lui e che di quegli stati mentali che crediamo di conoscere così bene, sono in verità piuttosto confusi, ma soprattutto quell'intenzionalità crediamo di poter dirigere, non siamo sempre noi ad avere il timone in mano. Di li a dire che la nave della soggettività naviga per i fatti suoi il passo è breve.

d'accordo. ma la lingua siamo sicuri che ci parli e basta?
io credo che noi stessi modifichiamo la lingua in base a quell'inspiegabile "voler-dire".
e già Husserl nel 1901 assicurava che se "vogliamo dire" è perchè della cosa non riusciamo mai a dire abbastanza...

del resto ti faccio notare che proprio da Brentano, Freud si indirizza verso una nuova realtà, verso il continente nero che è l'inconscio.
Husserl invece prova ad abbattere quello che freud chiamerebbe "principio di Realtà" proprio perchè l'essere è tutto ciò che appare...
ma pensa te... :shifty:

CITAZIONE (Farvat @ 5/10/2007, 11:22)
Non è tanto che Husserl con la sua separazione da lui operata tra Ego psicologico ed Ego trascendentale sfugga completamente a queste asserzioni, perché il termine intenzionalità ha un significato ambiguo, ovvero tecnico per Brentano, cioè nel senso che la coscienza ha sempre un contenuto, ma anche può significare fuori dalla fenomenologia un agire volontario e appunto "intenzionale". La vera questione della soggettività è tutta qui, io posso accettare l'accezione fenomenologica di intenzionalità e con tutta tranquillità negare l'altra; la coscienza può avere degli oggetti su cui si dirige, ma l'io è solo parte di un meccanismo e quindi un'illusione, è qui secondo me che si dovrebbe svilluppare il discorso.

aspetta aspetta!
per Husserl intenzionalità non vuol dire affatto intenzione!!!
questo concetto Husserl lo ereditò da Brentano. ma mentre quest'ultimo lo aveva ripreso dai medievali (l'int. è il rapporto tra la cosa e la definizione linguistica [concetto]), Husserl introducendo l'idea di una conoscenza come relazione tra l'io e le cose, asserisce che questo "intendere" è un "tendere-a", un andare verso la cosa.
ma verso la cosa ci va non la definizione, ma l'io!
un riflesso incondizionato è per husserl certamente tanto intenzionale quanto la premeditazione di un omicidio!
cambia appunto la modalità di questo riempimento della coscienza!
nell'espressione "coscienza-di" il "di" è l'intenzionalità!!
ecco perchè la coscienza è interamente coscienza, ecco perchè l'essere è sempre apparizione e l'apparizione è sempre per l'io.
poi ci sono gradi e gradi di apparzioni...
ad esempio io sogno di sognare.
il sogno come tale è sempre lo stesso, eppure ci sono differenze "fenomenologiche" di cui tener conto, un sognare come tale, ed un sognare "sognato". ecc.
questo ragionamento ci conduce alla parte finale del tuo discorso...
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/10/2007, 13:41




CITAZIONE (Farvat @ 5/10/2007, 11:22)
MA questi Eidos per Husserl cosa sono? Ho letto alcune interpretazioni di Husserl in senso platonico, ma dato ormai per sconfitto il nominalismo, Husserl come interpreta gli universali? E' un concettualista?

dato quanto affermato ppoco sopra, l'eidos si configura per Husserl come il sostrato (in senso aristotelico) che sottosta e che è la condizione di possibilità di ogni apparire possibile di una data cosa.
un cavallo è sempre cavallo nel ricordo, nel sogno, nel quadro, nella fotografia, nell'immaginazione ecc. il predicato "sognato" non aggiunge nulla all'essenza cavallo, se non tranne la modalità di apparire.
questo permanere tra le molteplici differenze è l'eidos cavallo.

sul platonismo di Husserl ci sarebbe da discutere per ore.
faccio per adesso "epoché" :B):
 
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5 replies since 2/10/2007, 09:27   153 views
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