Prefazione della mia tesina

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chimera83
icon10  view post Posted on 4/9/2007, 22:37




Vi metto qui la bozza che ho scritto oggi della prefazione per la mia tesina. C'è pure una introduzione ma non ve la pubblico perché comincia ad essere già un pochino tecnica. Lo potete vedere più che altro come un atto d'amore verso la filosofia e la matematica del sottoscritto. Ditemi cosa ne pensate :P

Una primo approccio consiste nel delineare le tematiche e il contesto culturale che rendono non solo utile ma in certi casi persino imprescindibile un raffronto tra filosofia e matematica. Fin dall’antichità la filosofia si è trovata in stretto rapporto con le scienze matematiche. Cosa rende privilegiato il dialogo tra filosofia e matematica? Perché partire proprio dalla Grecia e non dall’età moderna? I Greci hanno posto le basi del pensiero razionale ed è a partire da loro che la filosofia si è delineata come sapere epistemico contrapposto alle mere opinioni. La matematica d’altra parte nasce sempre in Grecia, e come la sua compagna filosofia si contrappone a ciò che è incerto, privo della necessaria fondatezza verso la conoscenza razionale del mondo. Certamente per l’uomo greco la conoscenza stabile delle cose trova il proprio spazio nel divino, nella meraviglia da cui nasce la filosofia. Ma ciò non toglie che la filosofia e la matematica si siano contrapposte all’opinione, alla doxa dei mortali. Spesso, nel corso dei secoli, l’alleanza è stata a volte spezzata, mentre altre volte ricomposta sotto il segno di un razionalismo nuovo, aperto alle questioni che ogni epoca porta con sé. E’ il caso di Spinoza e dell’Etica dimostrata a partire da una successione di lemmi e composta di teoremi e corollari. Leibniz era un matematico oltre che un grande filosofo e così via fino a Russell e ai nostri giorni con il grande rinnovamento della filosofia analitica. Ma, si obbietterà, il dialogo non è sempre stato uno sposalizio tra le due, e spesso è stato ricco di polemica se non assente. Perché dunque è così importante confrontarsi con qualcosa che non è necessario? Non si rischia di perdere la specificità della filosofia? In questo senso vorrei portare a memoria la grande lezione di Cartesio: egli era un matematico, forse tra i più notevoli; ma quando la filosofia ha richiesto il tributo del dubbio radicale ha dovuto mettere in crisi la visione certa e sicura che le scienze spesso portano con sé. Non c’è verità assoluta che la filosofia non possa mettere in discussione e sopratutto che non deve mettere in discussione. Ma si dirà: non è forse vero che la matematica propone verità assolute? Come può la filosofia accordarsi con ciò che è, per la sua stessa natura, contraddittorio? Entrerò nella questione per quello che è necessario ai fini di una giustificazione, seppur marginale, del lavoro qui svolto. Ci si potrebbe infatti chiedere nuovamente: quanto di questo lavoro è filosofico e quanto invece è matematica? Oppure: in che modo un lavoro che ha la pretesa di essere filosofico contiene la propria negazione, ossia ciò che è incompatibile-contradditorio con la filosofia? In realtà la matematica dopo la crisi attraversata nel XIX ha perso il suo statuto di evidenza che era stato il pilastro a partire dagli Elementi di Euclide. Questo carattere di crisi generale a cui la certezza indiscutibile dell’intuizione è stata sottoposta vuole essere messo in evidenza nella pagine che seguono. Tutte le risposte che è necessario dare vanno ricercate a partire dalla possibilità del senso di una filosofia della matematica, l’anello di congiunzione tra il sapere matematico e filosofico. Questa non è in realtà una disciplina isolata dal contesto del dibattito culturale di cui i filosofi non devono tenere conto, ma porta con sé i problemi della conoscenza che dai Greci fino ad oggi l’uomo cerca di cogliere nella sua essenza. Questi problemi toccano le parole che oggi sentiamo spesso pronunciare: cosa si intende per natura di un qualche ente? E’ legittimo parlare di intuizione? Qual è il rapporto tra l’uomo e le cose da lui conosciute? Possiamo credere in una contraddizione? L’uomo può cogliere tutte le verità che gli si pongono davanti o tutto questo è inconoscibile? In che rapporto è tale inconoscibilità del vero con la razionalità? A queste domande potremo forse dare una risposta più agevole se esamineremo con gli occhi della filosofia i concetti matematici che fanno da sfondo a ogni teoria. Se si considera questo come un semplice linguaggio, un mero strumento non diverso da un altro rischiamo di perdere la specificità di questo sapere. Tutto ciò potrà forse apparire più chiaro quando la filosofia proverà a trovare se stessa nelle intime pieghe del sapere matematico. Per fare questo è necessario tuttavia farsi carico di una attenta analisi delle sue strutture e questo richiede la conoscenza certamente del suo linguaggio. Anche se questa è certamente linguaggio, tuttavia essa non coincide con esso. Ma perché dovremmo riferirci per forza alla matematica? Perché la filosofia non può fare tutto questo da sé, a priori, senza contaminarsi con ciò che le è esterno? Ritengo che una impostazione simile, seppure interessante, rischia con il tempo di assumere i tratti di un sapere dogmatico. Se c’è il rischio per gli scienziati di diventare esclusivamente i paladini specialisti del proprio settore di competenza, così il filosofo rischia di chiudersi in una meravigliosa gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia che lo trattiene prigioniero. Questo lavoro può essere visto anche come un tentativo di spezzare l’isolamento, cercare la filosofia anche dove questa sembra apparentemente non manifestarsi. L’obbiettivo della mia tesi non è per fortuna così ambizioso. Parto già dai lavori che i logici della paraconsistenza hanno via via elaborato per una nuova rivoluzione che si sostituisca (per usare un termine caro a Kuhn) al periodo di scienza normale nell’insiemistica classica che stiamo attraversando. Ma il guadagno è molto di più, perché non è semplicemente il passaggio da un linguaggio a un altro più ricco. Questo casomai per il matematico, interessato perlopiù all’efficienza del suo sistema. Il filosofo è in grado di vedere oltre l’explicatum per cogliere il guadagno conoscitivo che una teoria sottende. Nella pagine successive bisognerà tenere conto sempre di questo: non leggere le successioni di teorie o formule come meri segni, ma indagarne il guadagno ontologico e quella visione d’insieme di cui solo il sapere filosofico è portatore per eccellenza.

 
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Wahrer Tod
view post Posted on 4/9/2007, 23:11




Bellissima! E se posso: se questa è la prefazione non voglio immaginare il resto :lol: Un bel lavoro comunque :) Mi chiaresti un punto?

CITAZIONE
La matematica d’altra parte nasce sempre in Grecia

Scusami, ma che intendi di preciso allora con "matematica"? Perché gli Egizzi, i Babilonesi, i Calcadei, gli Ebrei, gli Indiani non svilupparono ben prima la matematica? Pensa ad esempio banalissimo alla Kabbala Ebraica (la quale trova i suoi scritti in latino-greco nel medioevo, ma i suoi scritti in ebraico circa nel IX-VIII secolo avanti Cristo) o pensa ancora alla matematica degli indovini Babilonesi e via dicendo. Inoltre, se è vero che nasce in Grecia, perché usiamo cifre indiane ed usiamo lo zero di cui i Greci avevano il terrore?
 
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chimera83
view post Posted on 5/9/2007, 01:03





Scusami, ma che intendi di preciso allora con "matematica"? Perché gli Egizzi, i Babilonesi, i Calcadei, gli Ebrei, gli Indiani non svilupparono ben prima la matematica? Pensa ad esempio banalissimo alla Kabbala Ebraica (la quale trova i suoi scritti in latino-greco nel medioevo, ma i suoi scritti in ebraico circa nel IX-VIII secolo avanti Cristo) o pensa ancora alla matematica degli indovini Babilonesi e via dicendo. Inoltre, se è vero che nasce in Grecia, perché usiamo cifre indiane ed usiamo lo zero di cui i Greci avevano il terrore?

Nessun problema. Se chiedi a qualsiasi storico della matematica serio ti risponderà che la matematica nasce in Grecia e non a Babilonia o in Egitto. Perché se già quei popoli hanno avuto importanti intuizioni matematiche come il teorema di pitagora et simili? LA risposta è molto semplice. Gli Egizi non conoscevano il teorema di Pitagora. Riuscivano a calcolare l'ipotenusa, ma non avevano ancora compreso la natura algoritmica del teorema, e cioè il fatto che poteva essere applicato ad ogni triangolo rettangolo (che è questa la cosa veramente importante, la natura generalizzante della matematica!). Quindi è solo con i Greci che le intuizioni diventano formule. Tieni conto poi che la natura assiomatica della matematica è stata data per primo da Euclide ed è stata presa come modello di precisione per secoli.
Il discorso sull'India è diverso. Non ho detto che la matematica si esaurisce in Grecia ma che nasce in Grecia! Ci vorranno molti secoli perché l'algebra possa svilupparsi. Del resto non era comunque tanto lo zero di cui i Greci avevano paura, ma l'infinito che non potevano comprendere. Per lo zero la cosa si spiega con la visione estremamente realista dell'uomo greco, che non poteva immaginare un concetto come assenza di realtà.
 
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Farvat
view post Posted on 5/9/2007, 11:21




CITAZIONE
Scusami, ma che intendi di preciso allora con "matematica"? Perché gli Egizzi, i Babilonesi, i Calcadei, gli Ebrei, gli Indiani non svilupparono ben prima la matematica? Pensa ad esempio banalissimo alla Kabbala Ebraica (la quale trova i suoi scritti in latino-greco nel medioevo, ma i suoi scritti in ebraico circa nel IX-VIII secolo avanti Cristo) o pensa ancora alla matematica degli indovini Babilonesi e via dicendo. Inoltre, se è vero che nasce in Grecia, perché usiamo cifre indiane ed usiamo lo zero di cui i Greci avevano il terrore?

Il termine stesso "Matematica" è di origine greca, matematico significava appunto "apprendista", presso Pitagora i matematici erano i discepoli apprendisti della dottrina esoterica.
La Grecia classica è relativamente alle informazioni che oggi possediamo, la cultura in cui la matematica prende i suo connotati formali e nasce l' esigenza della dimostrazione.
E' altamente probabile che il teorema di Pitagora ad esempio non sia stato scoperto in grecia o almeno non solo lì, ma da quanto ci risulta dai reperti storici, la matematica era più un attrezzo funzionale, nel senso che si dava un risultato corretto ma senza spiegare e dimostrare come a quel risultato si era giunti,perchè non era ritenuto necessario. L'architetto o il commerciante, semplicemente applicavano i risultati nel loro lavoro e finiva lì. Se vogliamo è un atteggiamento che oggi si può riconoscere nel rapporto con la tecnologia moderna, dove tutti ad esempio possiedono un telefono cellulare o un computer, ma che poi andiamo a vedere sono molto pochi coloro che poi sappiano esattamente come i loro attrezzi elettronici funzionano, "it's a kind of magic". La proto-matematica è quindi una tecnica che ai suoi albori assunse connotazioni magiche e religiose, che sopravvivono ancora oggi.
Nel mondo greco la matematica pur all'interno di concezione metafiche e religiose assume connotati propri, perché nasce il concetto di verità e la verità esige dimostrazione, solo così può germinare il pensiero scientifico. Nel mondo greco si afferma l'importanza della ragione, ragionare vuol dire analizzare, separare il vero dal falso.
Dio all'atto della creazione separa la luce dal buio, il vero dal falso, nel mito dell'eden adamo ed eva mangiano la mela all'albero della conoscenza e perdono l'innocenza, cioè quello stato che precede il vero dal falso. Ma come può essere accaduto che che i greci non abbiano scoperto lo zero? E' determinato in gran parte dalla loro aspirazione alla verità che assume alla fine caratteristiche ontologiche, L'essere è e non può non-essere. Lo zero, il non essere si elide, non esiste quindi non è significativo.
Il termine Zero deriva dal latino Zephirum,, in arabo sifr, in sanscrito Shunya ovvero "cosa vuota" ed il suo uso si diffuse grazie all'abaco che è un attrezzo di calcolo potentissimo.
Nel mondo orientale, il ragionamento logico e matematico non ha sorprendentemente assunto l'importanza avuta in occidente, la cosa appare davvero strana, finché non si comprende bene il substrato culturale di queste culture, cioè l'olismo. Il pensiero olistico non riconosce la fondamentale importanza del il vero dal falso, non li nega ma è interessato molto più allo stato di unità che precede e fonda questa dicotomia. L'olismo aspira ad unire non a dividere, l'analisi ha carattere puramente funzionale.
Dal punto di vista occidentale questo atteggiamento è arcaico ma dal punto di vista orientale il nostro attaccamento alla ragione è semplicemente sciocco. Nel mondo orientale dove vero e falso potevano convivere senza annullarsi reciprocamente il concetto implicito di zero poteva radicarsi e giungere a noi, che unito alla poderosa numerazione decimale araba offriva alla matematica la possibilità di svilupparsi ulteriormente.
Oggi il pensiero occidentale sta pian piano abbandonando la concezione puramente razionale per esigenze paradossalmente scientifiche: per spiegare il cosmo bisogna tornare indietro allo stadio primordiale e quindi tornare all'olismo.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/9/2007, 15:14




Considero il tuo scritto nei momenti cruciali, per dare solo in fase finale un "giudizio" complessivo.

CITAZIONE (chimera83 @ 4/9/2007, 23:37)
Una primo approccio consiste nel delineare le tematiche e il contesto culturale che rendono non solo utile ma in certi casi persino imprescindibile un raffronto tra filosofia e matematica.

io non inizierei così: cioè, pur essendoci una introduzione a questa parte del tuo scritto, sembra che già il lettore sappia di che cosa si stia parlando, cioè sembrerebbe essere già "in discorso".
è questa una considerazione chiaramente personale, ma io non capisco proprio che cosa voglia dire, a primo rigo di una prefazione "un primo approccio consiste...".

un primo approccio a cosa? per cosa? io partirei da un punto di vista più generale.
 
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Farvat
view post Posted on 5/9/2007, 15:17




Ho letto con piacere la tua prefazione, che mi pare di cogliere sia instradata attorno ad un atmosfera intrisa di un ritorno d'interesse verso una materia come la matematica, ritenuta certamente non a torto ostica ed impervia. Il fatto che si sia da poco svolto nel nostro paese un Festival della matematica e questo non sia stato affatto disertato ma anzi sia avvenuto proprio l'opposto, mi sembra sia incoraggiante.
C'è quindi da chiedersi se la filosofia può oggi permettersi l'atteggiamento di spregio che ad esempio un Benedetto Croce poteva manifestare nei confronti di questa materia, a tal punto da farne un vanto. Questo atteggiamento credo oggi non sia più ne raccomandabile ne forse possibile, se non al costo come giustamente denunciavi di trovarsi in un ambiente filosofico completamente chiuso in se stesso, ma alla lunga sempre più incapace di comprendere quel mondo in evoluzione accelerata che lo circonda.
Ma credo che ancora più in profondità nel tuo discorso introduttivo aleggi il problema del rapporto conflittuale tra Scienza e filosofia. Per fare un esempio, i fisici teorici sostenitori della celeberrima Teoria delle Stringhe, croce e delizia della scienza moderna di frontiera, sono spesso imputati di aver edificato attorno ad una costruzione matematica elegante, una tautologia appunto indimostrabile sperimentalmente; per i loro detrattori essi fanno appunto filosofia e non scienza. Il termine "Filosofia" è ormai spregiativo e usato per bollare tutto ciò che non corrisponde all'idea moderna di verità. Ci si dimentica che la specializzazione ha senso solo all'interno di un processo organico, in cui la filosofia dovrebbe avere il ruolo di cogliere una visione d'insieme, ma tale atto non può essere appannaggio di una branca altrettanto specializzata? La filosofia insegna a pensare, il pensare non è un atto specializzato ma eclettico, dal valore universale, il passpartout per ogni porta. Una cosa bella da dire, ma in società come questa quasi impossibile da applicare. La salvezza sta nel cogliere che ogni cosa è interconnessa all'altra che il pensiero umano può solo condurci lontano mantenendo l'atteggiamento analitico ma non smarrendo mai il senso del tutto. Io mi domando che direbbero Platone ed Aristotele se redivivi visitassero le nostre moderne università? Non direbbero che noi abbiamo snaturato il senso profondo del loro insegnamento? Oggi ci si può tranquillamente laureare in filosofia senza capire quasi nulla di matematica, fisica e via dicendo. Probabilmente ci bollerebbero come sofisti della peggior specie, padroni della tecnica fine a se stessa, ma oramai incapaci d'indirizzarla verso un fine.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/9/2007, 15:20




CITAZIONE (chimera83 @ 4/9/2007, 23:37)
Certamente per l’uomo greco la conoscenza stabile delle cose trova il proprio spazio nel divino, nella meraviglia da cui nasce la filosofia. Ma ciò non toglie che la filosofia e la matematica si siano contrapposte all’opinione, alla doxa dei mortali.

io riformulerei questo periodo. la doxa dei mortali? verissimo! ma in platone, sapiente è il dio, filosofo l'uomo. e l'uomo è mortale :).
ma a parte questo, Platone (teeteto 155) e Aristotele (metafisica libro I, § I - II) parlano di meraviglia si come motore della filosofia ma è pur vero (soprattutto nella forma epistemica di Aristotele) che la filosofia mia a togliere la meraviglia.
lo stesso Hegel nella prefazione alla fenomenologia dello spirito asserisce che quando il cammino (fenomenologico) della coscienza giunge a termine la coscienza ha da deporre il nome di filosofia e chiamare in causa l'episteme.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/9/2007, 15:59




CITAZIONE (chimera83 @ 4/9/2007, 23:37)
n questo senso vorrei portare a memoria la grande lezione di Cartesio: egli era un matematico, forse tra i più notevoli; ma quando la filosofia ha richiesto il tributo del dubbio radicale ha dovuto mettere in crisi la visione certa e sicura che le scienze spesso portano con sé. Non c’è verità assoluta che la filosofia non possa mettere in discussione e sopratutto che non deve mettere in discussione.

molto vero! però va pure ricordato che Cartesio era anche un teologo.
faccio notare che le letture politiche di Cartesio fanno di quest'ultimo un fautore dell'istanza tomistica per cui dio è l'ens realissimum.
e di fatti così come in un periodo di barbarie Tommaso aveva riformulato l'antico concetto di Sostanza, anche cartesio parla di res cogitans. cioè non l'attività cogitante come tale ma il cogito come pensiero prodotto da altro.
ma la res, come qualcosa di indiscutibile serve a cartesio per mettere fine a tutto quel "buttanaio" (termine assolutamente non tecnico) di guerre che c'erano a dritta e a manca. ricorderai che il re sole aveva regalmente invitato cartesio a cercare rifugio in svezia.
e che dire delle sue opere maggiori?
la prima è un "discorso" sul metodo, mica un trattato!
la secondo è invece l'opera che con la quale mostra l'esistenza di dio!


d'altra parte in campo teoretico questo significa togliere a cartesio quel ruolo di fondatore del soggettivismo, che invece oggi, si riconosce apertamente a Kant.
anche nella crisi della scienze europee (nelle appendici V e VI dell'edizione Net attualmente in commercio [poi controllo meglio le pagine specifiche]), Husserl sostiene che il passaggio dal cogito alla res-cogitans è arbitrario e assolutamente non apodittico. e qui che cartesio trasforma il cogito restaurando l'antico: animus sive intellectus.


tutto questo non è necessario dirlo nel tuo lavoro, che certo si muove su altri orizzonti di senso, però non fa male averlo a portata di mano!

CITAZIONE (chimera83 @ 4/9/2007, 23:37)
Parto già dai lavori che i logici della paraconsistenza hanno via via elaborato per una nuova rivoluzione che si sostituisca (per usare un termine caro a Kuhn) al periodo di scienza normale nell’insiemistica classica che stiamo attraversando

io su "Logici della paraconsistenza" metterei 1 nota

CITAZIONE (chimera83 @ 4/9/2007, 23:37)
Questo casomai per il matematico, interessato perlopiù all’efficienza del suo sistema. Il filosofo è in grado di vedere oltre l’explicatum per cogliere il guadagno conoscitivo che una teoria sottende.

puoi controllare anche: E. Husserl, Ricerche Logiche Vol I (prolegomeni ad una logica pura) §71 (divisione del lavoro: l'opera dei matematici e quella dei filosofi).



CITAZIONE (chimera83 @ 4/9/2007, 23:37)
non leggere le successioni di teorie o formule come meri segni, ma indagarne il guadagno ontologico e quella visione d’insieme di cui solo il sapere filosofico è portatore per eccellenza.

questo è senza dubbio molto importante, ma bisognano 2 chiarimenti essenziali:

1) che vuol dire "guadagno ontologico"?

2) accettare l'idea di una filosofia quale portatrice di "visione d'insieme" è senza dubbio un far riferimento ad un concetto ben preciso di filosofia. pertanto bisognerebbe chiarire a quale concetto di filosofia fai riferimento.
coem hai tu stesso ricordato (in musica e fenomenologia) per Carnap la metafisica sarebbe più vicina alla poesia che alla scienza...


poi resta l'enigma cruciale (difficilmente solvibile - strettamente collegato con le 2 domande poste sopra) dove si attua questa visione di insieme?


il lavoro promette bene...
poi vediamo se mantiene quanto promesso :)
però, ma io ho presente l'origine della geometria di Husserl, è pur vero che la matematica assume un ruolo di linguaggio privilegiato solo con Galileo.
questo giustamente potrebbe mettere in discussione parecchio del tuo lavoro (almeno per quello che posso immaginare esso sia), proprio perchè la svolta galileiana - pur non annunciando nulla di nuovo "In nuce" - ha avuto ripercussione nella nostra storia filosofica
 
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chimera83
view post Posted on 5/9/2007, 18:10




Grazie a tutti per le critiche che mi avete fatto. Chiarisco però che è solo una bozza, quindi devo ancora rivederla....

Ora provo a chiarire alcune cose a partire da Ego:

A) sulla doxa il riferimento è a Parmenide. Sotto c’è una nota che purtroppo è scomparsa nel copia incolla :-) inoltre anche per Pitagora il filosofo si trova tra l’uomo e il Dio.

B) sui logici della paraconsistenza la nota non c’è perché ho già spiegato il significato nella parte precedente che non vi ho postato! Alla fine ti allego magari l’altro pezzettino

C) Non volevo riferirmi a qualche dottrina di qualche filosofo particolare. Certamente il fatto di vedere la matematica come a un sistema mi viene però dagli insegnamenti di Geymonat che, tra l’altro, ho aggiunto in una versione corretta qualche riga sopra.

D) Guadagno ontologico mi sembrava carino e mi è venuto spontaneo, ma ora che ci rifletto fa abbastanza schifo. Lo cambierò.

E) Non ho capito perché il fatto perché Galileo potrebbe mettermi in discussione, me lo spieghi?

F) Terrò presenti i riferimenti su Husserl e ci darò un’occhiata. Tieni conto però che la sto sistemando, sopratutto nella forma e aggiungendo parti su Aristotele.

Tenete conto che domani partirò 1 settimana per la Sicilia e non so se riuscirò a seguirvi benissimo. Spero di continuare rispondervi comunque.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/9/2007, 18:15




CITAZIONE (chimera83 @ 5/9/2007, 19:10)
A) sulla doxa il riferimento è a Parmenide. Sotto c’è una nota che purtroppo è scomparsa nel copia incolla :-) inoltre anche per Pitagora il filosofo si trova tra l’uomo e il Dio.

ok. se c'è 1 nota, va benissimo. dal testo però non si capiva. ma se c'è ripeto, va benissimo.

CITAZIONE (chimera83 @ 5/9/2007, 19:10)
B) sui logici della paraconsistenza la nota non c’è perché ho già spiegato il significato nella parte precedente che non vi ho postato! Alla fine ti allego magari l’altro pezzettino

come sopra.
 
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chimera83
view post Posted on 5/9/2007, 18:16




Questa è la parte che precede il testo:

La comparsa di paradossi nella teoria degli insiemi ha contribuito allo sviluppo di modelli alternativi al concetto cantoriano di classe. Buona parte delle teorie successive (quantomeno le più note) trovano il proprio fondamento su sistemi formali che fanno uso unicamente della logica classica. Negli ultimi quarant’anni buona parte della comunità scientifica ha concentrato l’attenzione su sistemi che non godono della proprietà di consistenza: un sistema S è inconsistente se per ogni formula α di L, dimostra sia s α che s ¬α, ossia una qualunque formula e contemporaneamente la sua negazione. Qualora S sia dotato di assiomi o di regole di inferenza per cui da una contraddizione può seguire una qualunque formula β (legge di Scoto), il sistema viene considerato triviale. Questo significa che un sistema inconsistente e dotato della legge di Scoto consente di dimostrare qualunque cosa ed è perciò deduttivamente inutile. Esistono tuttavia strutture che, pur essendo inconsistenti, non ammettono al loro interno la trivialità e sono appunto le teorie di cui mi sono occupato nel mio elaborato. Tali teorie sono dette paraconsistenti e si dividono in due categorie: forti e deboli. Nelle prime le contraddizioni che si presentano durante una deduzione non vengono risolte ma prese così come sono (in un senso del tutto da specificare), mentre le seconde non accolgono alcuna contraddizione al loro interno. Questa distinzione coinvolge in realtà un più esteso dibattito sulla validità o meno del principio di non contraddizione. Personalmente ho scelto di non occuparmi nel dettaglio delle ragioni sulla reale o apparente messa in discussione del principio. Quello che mi preme è la sistematizzazione della teoria degli insiemi attraverso le logiche non standard di tipo paraconsistente. Oltre a certe strutture algebriche e alla teoria delle categorie, l’insiemistica è forse ancora oggi tra le più potenti teorie matematiche in grado non solo di accogliere il finito ma anche il transfinito cantoriano, necessario alla giustificazione di buona parte dei teoremi matematici oltre che della stessa analisi. Se si vuole sostituire l’impianto classico con una qualche altra logica bisognerà non solo ampliare quello che la teoria ci può dire, ma anche conservare tutto ciò che l’insiemistica standard può già fare. Non sarà possibile parlare di reale progresso se il nuovo modello che ci apprestiamo a sostituire apparirà carente rispetto al vecchio, soprattutto per quanto riguarda i teoremi fondamentali. Questo è uno dei principi guida a cui cercherò di attenermi e che svilupperò, con una serie di considerazioni, nel secondo capitolo. Durante la fase di ricerca non mi sono dedicato a tutte le logiche che vengono usualmente etichettate come paraconsistenti, ma a quelle che presentano un impianto formale quantomeno sufficientemente sviluppato per l’insiemistica. Ho preso quindi in considerazioni le gerarchie di Da Costa, la teoria delle classi di Brady, la DST di Routley e la logica del paradosso di Priest. Confronterò inoltre i modelli appena menzionati con quelli che seguono un approccio “classico” come Russell, Von Neumann, Zermelo-Fraenkel, Quine e la gerarchia cumulativa transfinita. Farò riferimento anche ad altre teorie paraconsistenti che, anche se non hanno un bagaglio tecnico sufficiente per misurarsi con l’impresa che ho testé illustrato, possono comunque essere utili per un confronto e in una maggiore comprensione degli approcci paraconsistenti. Visto che ogni teoria che si rispetti deve avere un corrispettivo impianto formale che possa adeguatamente svilupparla, dovrò toccare anche questioni legate alla sintassi e alla semantica degli impianti via via forniti. Indicherò inoltre le due linee che mi hanno guidato lungo questo percorso ma che posso già anticipare: da un lato alcune massime metodologiche e dall’altro la logica. La domanda a questo punto sorge spontanea: quale logica? In realtà la logica, non diversamente da una definizione impredicativa, si richiama a una totalità di cui è essa stessa partecipe. Ogni questione andrà quindi formulata direttamente a questa totalità, che consiste in quello che i principali esponenti della paraconsistenza hanno chiamato classical recapture.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/9/2007, 18:23




CITAZIONE (chimera83 @ 5/9/2007, 19:10)
D) Guadagno ontologico mi sembrava carino e mi è venuto spontaneo, ma ora che ci rifletto fa abbastanza schifo. Lo cambierò.

guarda, non entro nella questione estetica. però se riesci a chiarire l'espressione, può anche passare ^_^ .
l'assistente della mia relatrice mi ha seguito per oltre un anno per scrivere la mia tesi. sin dalla prima battuta però l'imperativo categorico è stato: tutto si può scrivere purchè venga chiarito a dovere :)

CITAZIONE (chimera83 @ 5/9/2007, 19:10)
E) Non ho capito perché il fatto perché Galileo potrebbe mettermi in discussione, me lo spieghi?

perchè indubbiamente l'opera di galileo porta in grembo qualcosa che non era mai accaduto prima in maniera così netta: la matematica diventa il linguaggio della natura (come il cielo vadia) anche se è un paralinguaggio a quello religioso (come in cielo si vadia).
per tanto si tratta di una riduzione arbitraria, una distinzione di senso prescientifica direbbe Husserl, ma che ha una serie di sviluppi notevoli, come non c'erano stati da tempi immensi.
per il resto non sottovaluterei neppure l'ignoranza dei prof, che possono sapere tanta storia della filosofia ma poca storia della matematica.

pensa che quando ho presentato la mia tesi una correlatrice mi ha detto: questa tesi è troppo bella per essere fatta da uno studente. per me lei ha copiato!

giusto per capirci :shifty:
 
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11 replies since 4/9/2007, 22:37   842 views
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