Prefazione della mia tesina

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chimera83
icon10  view post Posted on 4/9/2007, 22:37 by: chimera83




Vi metto qui la bozza che ho scritto oggi della prefazione per la mia tesina. C'è pure una introduzione ma non ve la pubblico perché comincia ad essere già un pochino tecnica. Lo potete vedere più che altro come un atto d'amore verso la filosofia e la matematica del sottoscritto. Ditemi cosa ne pensate :P

Una primo approccio consiste nel delineare le tematiche e il contesto culturale che rendono non solo utile ma in certi casi persino imprescindibile un raffronto tra filosofia e matematica. Fin dall’antichità la filosofia si è trovata in stretto rapporto con le scienze matematiche. Cosa rende privilegiato il dialogo tra filosofia e matematica? Perché partire proprio dalla Grecia e non dall’età moderna? I Greci hanno posto le basi del pensiero razionale ed è a partire da loro che la filosofia si è delineata come sapere epistemico contrapposto alle mere opinioni. La matematica d’altra parte nasce sempre in Grecia, e come la sua compagna filosofia si contrappone a ciò che è incerto, privo della necessaria fondatezza verso la conoscenza razionale del mondo. Certamente per l’uomo greco la conoscenza stabile delle cose trova il proprio spazio nel divino, nella meraviglia da cui nasce la filosofia. Ma ciò non toglie che la filosofia e la matematica si siano contrapposte all’opinione, alla doxa dei mortali. Spesso, nel corso dei secoli, l’alleanza è stata a volte spezzata, mentre altre volte ricomposta sotto il segno di un razionalismo nuovo, aperto alle questioni che ogni epoca porta con sé. E’ il caso di Spinoza e dell’Etica dimostrata a partire da una successione di lemmi e composta di teoremi e corollari. Leibniz era un matematico oltre che un grande filosofo e così via fino a Russell e ai nostri giorni con il grande rinnovamento della filosofia analitica. Ma, si obbietterà, il dialogo non è sempre stato uno sposalizio tra le due, e spesso è stato ricco di polemica se non assente. Perché dunque è così importante confrontarsi con qualcosa che non è necessario? Non si rischia di perdere la specificità della filosofia? In questo senso vorrei portare a memoria la grande lezione di Cartesio: egli era un matematico, forse tra i più notevoli; ma quando la filosofia ha richiesto il tributo del dubbio radicale ha dovuto mettere in crisi la visione certa e sicura che le scienze spesso portano con sé. Non c’è verità assoluta che la filosofia non possa mettere in discussione e sopratutto che non deve mettere in discussione. Ma si dirà: non è forse vero che la matematica propone verità assolute? Come può la filosofia accordarsi con ciò che è, per la sua stessa natura, contraddittorio? Entrerò nella questione per quello che è necessario ai fini di una giustificazione, seppur marginale, del lavoro qui svolto. Ci si potrebbe infatti chiedere nuovamente: quanto di questo lavoro è filosofico e quanto invece è matematica? Oppure: in che modo un lavoro che ha la pretesa di essere filosofico contiene la propria negazione, ossia ciò che è incompatibile-contradditorio con la filosofia? In realtà la matematica dopo la crisi attraversata nel XIX ha perso il suo statuto di evidenza che era stato il pilastro a partire dagli Elementi di Euclide. Questo carattere di crisi generale a cui la certezza indiscutibile dell’intuizione è stata sottoposta vuole essere messo in evidenza nella pagine che seguono. Tutte le risposte che è necessario dare vanno ricercate a partire dalla possibilità del senso di una filosofia della matematica, l’anello di congiunzione tra il sapere matematico e filosofico. Questa non è in realtà una disciplina isolata dal contesto del dibattito culturale di cui i filosofi non devono tenere conto, ma porta con sé i problemi della conoscenza che dai Greci fino ad oggi l’uomo cerca di cogliere nella sua essenza. Questi problemi toccano le parole che oggi sentiamo spesso pronunciare: cosa si intende per natura di un qualche ente? E’ legittimo parlare di intuizione? Qual è il rapporto tra l’uomo e le cose da lui conosciute? Possiamo credere in una contraddizione? L’uomo può cogliere tutte le verità che gli si pongono davanti o tutto questo è inconoscibile? In che rapporto è tale inconoscibilità del vero con la razionalità? A queste domande potremo forse dare una risposta più agevole se esamineremo con gli occhi della filosofia i concetti matematici che fanno da sfondo a ogni teoria. Se si considera questo come un semplice linguaggio, un mero strumento non diverso da un altro rischiamo di perdere la specificità di questo sapere. Tutto ciò potrà forse apparire più chiaro quando la filosofia proverà a trovare se stessa nelle intime pieghe del sapere matematico. Per fare questo è necessario tuttavia farsi carico di una attenta analisi delle sue strutture e questo richiede la conoscenza certamente del suo linguaggio. Anche se questa è certamente linguaggio, tuttavia essa non coincide con esso. Ma perché dovremmo riferirci per forza alla matematica? Perché la filosofia non può fare tutto questo da sé, a priori, senza contaminarsi con ciò che le è esterno? Ritengo che una impostazione simile, seppure interessante, rischia con il tempo di assumere i tratti di un sapere dogmatico. Se c’è il rischio per gli scienziati di diventare esclusivamente i paladini specialisti del proprio settore di competenza, così il filosofo rischia di chiudersi in una meravigliosa gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia che lo trattiene prigioniero. Questo lavoro può essere visto anche come un tentativo di spezzare l’isolamento, cercare la filosofia anche dove questa sembra apparentemente non manifestarsi. L’obbiettivo della mia tesi non è per fortuna così ambizioso. Parto già dai lavori che i logici della paraconsistenza hanno via via elaborato per una nuova rivoluzione che si sostituisca (per usare un termine caro a Kuhn) al periodo di scienza normale nell’insiemistica classica che stiamo attraversando. Ma il guadagno è molto di più, perché non è semplicemente il passaggio da un linguaggio a un altro più ricco. Questo casomai per il matematico, interessato perlopiù all’efficienza del suo sistema. Il filosofo è in grado di vedere oltre l’explicatum per cogliere il guadagno conoscitivo che una teoria sottende. Nella pagine successive bisognerà tenere conto sempre di questo: non leggere le successioni di teorie o formule come meri segni, ma indagarne il guadagno ontologico e quella visione d’insieme di cui solo il sapere filosofico è portatore per eccellenza.

 
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11 replies since 4/9/2007, 22:37   843 views
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