Mente e Cervello, Ascesa e caduta del concetto di coscienza

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Farvat
icon5  view post Posted on 2/10/2007, 09:27 by: Farvat




Leggevo proprio ieri sera, le Meditazioni scritte da Descartes, un opera filosofica che non solo ha fatto epoca ma che forse più di tutte ha influenzato la filosofia occidentale ponendo la base per il dualismo mente e corpo, dicotomia direi almeno a livello linguistico inevitabile anche per chi si faccia sostenitore di un rinnovato monismo.
Quello che a una prima lettura emerge abbastanza visibile è l'ingenuità, l'inconsistenza, la puerilità dei ragionamenti, non tanto riguardanti la Pars Destruens tutto sommato oggi mai così attuale, quanto quelli che formano la Pars costruens. Descartes edificò un edificio maestoso, una cattedrale intorno a cui tutta la filosofia occidentale avrebbe dovuto edificare a sua volta, ma credo fu chiaro fin dall'inizio che tale edificio era destinato a cadere in rovina nel corso dei secoli, Cosa che puntualmente è in effetti avvenuta. Quella Cattedrale si chiama naturalmente Coscienza, Io, Soggetto.
Le "idee chiare e distinte" che la coscienza ha in sè, risultarono già a Malbranche subito abbastanza oscure e confuse, e pian piano quest'idea che la coscienza conoscesse infallibilmente i propri oggetti così come i propri stati divenne via, via sempre più dubbia. La divisione operata da Descartes della coscienza in due Res distinte, la res cogitans e la res extensia era destinata ad acuire ancora di più la distanza tra mondo intellettivo e mondo sensibile saldato praticamente solo dalla ghiandola pineale, ma il cui unico vero garante rimaneva Dio, che per sua natura si supponeva in uno slancio raro di ottimismo non potesse ingannare come il presunto "genio maligno".
Stessa sorte finiva per fare non solo la primitiva rappresentazione del corpo, come macchinario idraulico, ma soprattutto la localizzazione di un Homunculus che situato in un zona precisa del cervello operava il vaglio dei dati sensibili e operava le conseguenti decisioni. L'idea che non solo già rischiava di innescare un regresso all'infinito, con un omuncolo dentro l'altro, ma che le moderne neuroscienza ormai smentiscono con "cognizione" perdonatemi la battuta, di causa o mancanza di localizzazione precisa di essa.
Al povero Descartes non andò comunque meglio nemmeno in fisica, visto che al confronto con quella di Newton la sua teoria rivale dei vortici, si rivelò non solo matematicamente iper-complessa ma completamente farlocca. Così a tutt'oggi Descartes è ricordato come grande matematico ma soprattutto per quel "Cogito Ergo Sum" che sta alla base della sua unificazione tra coscienza e soggettività.
Il cogito, il definirsi del filosofo francese come "cosa pensante", è il concetto che più di tutti ha posto la base per intere filosofie, l'appercezione pura che ci libera almeno da un dubbio fra i tanti, cioè quello di esistere e di esserne consapevoli. Appercezione che Kant definisce "io puro" che in effetti è un paradosso, perché possiamo anche dire in senso più moderno con Franz Brentano, che la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa, ma come faccia la coscienza a farsi oggetto di se stessa resta un problema irrisolto. Per certi versi è meglio così, come cosa pensante so di essere, non so cosa ma almeno so che sono, e anche fossi una raffinata illusione per essere tale dovrei pur sempre essere. Come molto saggiamente insegnava Kant l'esistenza non è una proprietà, ma una precondizione per ogni cosa.
Ma fossi in voi non canterei vittoria troppo presto, dire "sono" esprimere la copula non signifca che poi effettivamente ci sia qualcuno che stia.. copulando (perdonatemi ancora la battuta). In effetti l'io, la soggettività ha forse subito soprattutto nel novecento uno degli assedi più violenti mai perpetrati, paragonabile solo a quello subito da altri due concetti in fondo a questo strettamente imparentati ovvero "Dio" e "Verità".
Sotto le martellate dei vari "maestri del sospetto" (Nietzsche e Freud), incatenate alla logica del determinismo positivista alla Compte prima, ed alla ferrea programmazione genetica poi, sotto l'analisi invasiva delle "scienze cognitive"con i loro "brain imaging", l'Io sembra la punta di un iceberg in procinto di sciogliersi a causa dei mutamenti climatici in corso.
La mente si riduce ad un elegante epifenomeno, che come ho sentito recentamente è paragonabile ad "una macchia d'olio nel brodo", i pensieri sono come fumo che sbuffano dal cervello e così via, almeno i neuro scienziati più beceri e retrogradi sostengono ancora queste ipotesi. Ma i più raffinati, rifacendosi al filosofo analitico Ryle, connotano la mente come fenomeno emergenziale della sostanza cerebrale, i pensieri sorgono dalle interazioni neurali, ascrivibili a processi di algebra booleana e forse in definitiva riducibili a bit. insomma come da una massa d'aria si formano i tornadi, cioè come dalle diverse parti emerge qualcosa che è più della loro somma, aprendo le porte si a concezioni olistiche, ma anche trovandosi di fronte alla mente conscia che ha proprietà sue particolari non riducibili completamente a quelle del cervello, ma che mostra ancora di più quanto come fenomeno sia impervio da analizzare in modo completo ed efficace. Del resto tutti oggi parlano di emergenza ma se poi si ha cura di chiedere che diavolo vuol dire e che significato abbia tutti tacciono. Ma in genere si trovano quasi tutti d'accordo nell'asserire che il concetto dell'io cartesiano ha ormai tirato le cuoia e alcuni duri e puri sostengono apertamente che di libero arbitrio, volontà, intenzionalità è inutile ormai parlare: sono tutte illusioni.
E' certamente un asserzione pesante, sopratutto è anche un'idea tutto sommato pericolosa, e c'è da chiedersi che accadrebbe se venissimo tutti educati a pensare di essere solo degli zombie schiavi delle funzioni corporee, dei nostri geni, del nostro inconscio, delle pubblicità, degli psicofarmaci e così via. Sarebbe certamente una società perfetta e ordinata, dove tutti marciano in fila, sorridono e sono felici, stupidi e felici insetti di un meraviglioso alveare e chissà perché ho l'impressione che ci sarebbe sempre qualche ape regina, che stranamente mostrerebbe segni di coscienza e incredibilmente deciderebbe moralmente per tutti gli altri.
Poi certi scienziati si lamentano che la vecchia filosofia continentale dice loro "Che non pensano" del resto che altro si può dire loro, se sono i primi a sostenere che l'io non esiste, i buoni vecchi filosofi gli danno finalmente ragione e si lamentano pure... Ingrati! E chi fa notare questo paradosso, cioè che degli esseri incoscienti manifestino di esserlo coscientemente, si risponde che non è così semplice. E' vero certo non lo è, come non è così semplice smantellare l'io sulla base del fatto che non capiamo affatto cosa sia la soggettività e dato che non sappiamo spiegarla diciamo semplicemente che non esiste. Non è un atteggiamento molto scientifico ma è triste notare che nella storia del pensiero è un comportamento ricorrente, ovvero l'eterno ritorno della stupidità umana.
Naturalmente ci sono posizioni minoritarie all'interno della scienza, che sostengono che la scienza con la coscienza ci finirà prima o poi con lo sbatterci i denti, ma forse avevano più ragione gli empiristi Locke e Hume che affermavano una verità che pochi vogliono affrontare: fate quello che volete, dite quello che volete, andate pure in capo al mondo, dalla coscienza come dal vostro orizzonte non potrete uscire... Mai.

Emotio ergo sum... :shifty:


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5 replies since 2/10/2007, 09:27   154 views
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