Mente e Cervello, Ascesa e caduta del concetto di coscienza

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EgoTrascendentale
view post Posted on 2/10/2007, 14:46 by: EgoTrascendentale




Caro Far, come sai il tema della coscienza è per me un punto fondamentale
della mia riflessioncina filosofica.
Inizio a risponderti a partire dalla questione "descartes".

è noto che l'idea cartesiana di riformulare la scienza a partire dalla "radici", sia nobile quanto arduo. Husserl, nell'opera che maggiormente riprende l'impostazione cartesiana (le "meditazioni cartesiane" appunto) denuncia:
"sembra così facile cogliere l'io puro seguendo descartes!".
questa denuncia non è casuale, e non è neppure retorica!!

La dicotomia cartesiana non è linguistica, apparente, ma è sostanziale.
Infatti nella Prima M.m., cartesio si domanda cosa è "reale" e cerca di distinguerlo.
poi prosegue e si domanda come sia possibile che sia "in veglia" che "in sogno" 2+2 faccia cmq 4 e un triangolo sempre 3 lati ha.
non di meno a questo Cartesio attua il dubbio radicale.
Husserl asserisce che l'idea matematica sia allora accettata come ovviamente valida, come un ideale scientifico meritevole di fiducia: però perchè io posso dubitare dei sensi, che "almeno 1 volta nella vita ci hanno ingannato", ma non devo dire che ho sbagliato a vedere un "quadrato", un "triangolo" nel sogno o nella veglia?
perchè non devo dubitare del fatto che stia ricordando male?
questa è l'errore cruciale che segna lo scacco agli occhi di Husserl della filosofia cartesiana.
infatti cartesio si sarebbe fermato "all'inizio dell'inizio" (cfr E. Husserl, storia critica delle Idee lez. XV). fermandosi all'io puro, al cogito, questo resta ancora una sorta di "premessa" di un sillogismo e nulla più.
tant'è che per "dedurre" (nel linguaggio della critica della ragion pura, dedurre significa "giustificare") il concreto cartesio deve ricorrere all'idea di Dio e alle idee matematiche.
ma come giustamente si chiede kant: che rapporto c'è tra dio, l'evidenza del cogito e le evidenze matematiche?
v'è forse qualche evidenza che ha un prestigio onto-metodologico sulle altre?
non quella di dio, perchè io il cogito lo deduco intellettualmente, per esclusione, attraverso un dubitare senza fine.
non quelle matematiche: dio non mi ha fornito nessun "numero" su cui costruire un sistema di simboli, nè da questi simboli che sono i numeri arrivo a dio.
non quella del cogito, che io devo giustifico solo attraverso il dubbio. ma il cogito ha bisogno di dio per sfuggire al solipsismo.

questo triangolo vizioso però non è il solo errore in cui incorre descartes.
infatti nel dualismo cartesiano non compare pienamente la distinzione, che Husserl chiamerà "noetico-noematica", tra il contenuto del pensiero e il pensiero come tale. detto volgarmente: se io dubito del pc che ho qui davanti (come accade in cartesio), non sto - proprio attraverso il dubbio - ipostatizzando una dignità ontologica alla cosa, alla cosa in quanto "dubitata"?

ed è qui che il dubbio cartesiano diventa "epoché fenomenologica": il dubbio cartesiano infatti vorrebbe negare l'essere della cosa.
l'epochè invece attraverso il dubbio, negando l'essere della cosa, afferma l'apparire della stessa.
ma se la cosa mi appare, apparendomi in qualche modo deve pur essere.
per cui mentre cartesio attraverso il dubbio arriva a sottoscrivere la res quale "ens realissimum", Husserl con l'epoché asserisce: tanto apparire quanto essere.
e non c'entra nulla dire che il sogno è più "reale" della realtà, che la realtà è più "reale" del ricordo ecc.

infatti, così come kant asseriva: l'esistenza non aggiunge nessun predicato nuovo al concetto della cosa che eventualmente si tratta, allo stesso modo Husserl: il ricordato, il percepito, l'immaginato non aggiungono nessun predicato nuovo al concetto della cosa. ma sono solo "differenze modali" cioè differenze dei modi di apparire di una cosa.
ecco perchè Husserl rilancia energicamente l'idea di una scienza "eidetica", scienza di "cose in-sé", perchè la cosa in-sé è quel sostrato, quell'eidos che resta identico al variare dei modi di apparire!

ma se vogliamo essere pedanti, le rappresentazioni che quest'io deve possedere, sono tutt'altro che ovvie.
ed infatti queste rappresentazioni non si capisce perchè debbano essere intese come "res".

possiamo dirla in una forma criptica e al tempo affascinante:
L'io-penso (cogito! Notamia) deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni.

ciò significa intanto che l'io penso non è una necessità ma una possibilità (deve poter...) (e qui il discorso diventa tremendamente pesante), e questa possibilità è nella rappresentazione.
ma le mie rappresentazioni possono essere accompagnate dall'esistenza perchè nella mia mente che rappresenta (Kant parla di Intelletto) il corrispettivo materiale è dato solo attraverso la sensibilità.
eppure, dal momento che la sensibilità attesta che qualcosa possa esserci come possa non esserci, allora se so quando una cosa è possibile, diventa inutile sapere quando attualmente è data oppure no.
è qui che Kant decide di darsi allo studio delle forme pure, sganciate da ogni contenuto possibile.
infatti, nota sottilmente Kant, l'idea di molteplicità, di causa, di effetto o relazione non sono desunte dalla realtà attraverso astrazione. ma al contrario sono concetti che guidano il mio sguardo e condizionano il mio vedere... esattamente come se stessi guardando attraverso lenti colorate, preferibilmente azzurre ;).

allora l'io penso stesso è una rappresentazione, ma nel modo di essere rappresentata si presenta una differenziazione cruciale: l'io penso in quanto rappresentante non concepisce mai se stesso pienamente poichè l'io rappresentante è già un io rappresentato in quanto "rappresentante".
e se lo stesso ragionamento lo applico alle cose, distinguo con facilità "fenomeni e noumeni"....

per kant questo scarto viene colmato in sede morale, attraverso la libertà di aderire al Dovere.

per fichte vorrà dire che questo scarto abbatte la cosa in-sè, che è una rappresentazione di qualcosa che non può essere rappresentato, se non come non-rappresentabile, ovvero mi rappresento una realtà che sfugge ad ogni rappresentazione: è la prima formulazione piena dell'idealismo trascendentale.

per Schelling questa opposizione sarà l'identità nell'identità di essere e pensare. una identità che si da attraverso il punto di vista dell'artista che si innalza dalla parzialità del proprio tempo attraverso il monum-mento (che è pur sempre un "docu-mento" per i posteri. il monumento allora "docet" ai posteri come si è dato lo spirito in un dato tempo).

per Hegel questo jato ontologico è irrisolvibile dall'intelletto, che funziona per rigide rappresentazioni. fluidificare queste rappresentazioni di "io rappresentante" e "io rappresentao" significa tornare all'idea eraclitea del principio di negazione: A= - A, l'identità di essere e pensiero, l'idea che si riconosce (si sa) tramite il suo "Non-essere" la natura.


Ecco perchè l'idealismo cartesiano è ancora descritto da hegel come vuoto ed astratto, formale e assiomatico.
del resto lo stesso heidegger riconosce che la linea di sviluppo "cartesio-hegel" non è altro che il tentativo di inverare la res cogitans in quanto pensiero.

da aspirante fenomenologo non posso essere d'accordo con descartes.
credo infatti che l'idea cartesiana di restaurare la res sia dovuto a fattori politici prima ancora che teoretici.
faccio per inciso notare che la prima opera "seria" di cartesio non è un trattato, non è un saggio, non è una meditazione, ma è un "discorso" sul metodo.
e una volta compreso il metodo si da alla composizione di una opera che dimostra l'esistenza di dio.
credo per capire e capisco per credere?

morale: sono convinto che il discorso cartesiano miri alla restaurazione della filosofia di tommaso, detto "san" :)
 
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5 replies since 2/10/2007, 09:27   154 views
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