| ho riletto tutto il topic, ma mi pare che siano dati abbastanza per scontati, e per nulla chiariati, il concetto di "Mondo" e il concetto di "perfetto". per pura arbitrarietà posso iniziare a distinguere almeno 2 significati di "perfetto": 1) che non manca di nulla 2) no è possibile ulteriore sviluppo.
questo secondo significato può essere pacificamente escluso: quand'anche, seguendo parmenide, si vuole negare una posizione di questo tipo, si sta "aggiungendo" al mondo dei fenomeni qualcosa. l'operazione - in questo caso tetica - di aggiungere qualcosa a qualcosa la si chiama "sintesi". nell'aggiungere al mondo già dato, che già è una volta e per sempre (l'essere di parmenide dunque) qualcosa come un semplice negare che il mondo sia ecc., noi creiamo un qualcosa di novum. vedremo che già qui è possibile individuare una differenza-tra il nuovo e il vecchio, una differenza che in ultima analisi è possibile solo se si riconosce che questa differenza è una "relazione" (logos!) e che questa differenza ha i suoi poli nel percepito di volta in volta e la struttura concettuale che di volta in volta si applica (per esempio uno psicologo e un medico mi visitano: visitano sempre "me" ma in modi - concettualmente - diversi). questa differenza la si può chiamare "storia". dobbiamo allora attribuire al mondo il significato di: "non manca di nulla". ed in effetti sarebbe ben strano dire che al mondo manchi qualcosa: se ci manca l'acqua, o sta finendo, ecc., ce ne preoccupiamo e ce la andiamo a cercare ecc. possiamo anche morire e la razza umana può ben estinguersi. non importa: l'acqua diventa il telos della nostra ricerca. ricerca che evidentemente fallisce e peccato, o per fortuna, che nessuno potrà mai raccontarla. del resto bisogna capire che il mondo, che pure si da originariamente come struttura parziale (il nostro mondo circostante) è un che di indefinito ed indefinibile: un mondo definito e quindi definibile può essere dato solo all'occhio del dio. l'uomo invece è sempre in mezzo alla parzialità del punto di vista, una parzialità che lungi dall'essere un limite è la sua forza: questa parzialità è il motore per la conoscenza. possiamo infatti avere sviluppi scientifici solo attraverso la parzialità delle nostre conoscenze; possiamo avere sviluppi "umani" (la cosidetta saggezza, maturità ecc) solo perchè nel fare esperienze noi amplifichiamo il campo d'azione del nostro punto di vista, lo modifichiamo addirittura lo cambiamo. talvolta si dice che "si cresce". il mondo allora non si presenta proprio per questo come l'insieme delle cose contingenti, come voleva quel gran genio di leibniz, ma si presenta come la condizione di possibilità di queste (cose contingenti). il mondo a cui andiamo dinnanzi tramite il medium dell'esperienza si dischiude come infinita condizione di infinite possibilità: le possibilità che possiamo di volta in volta attuare e che rientrano nella sfera della filosofia morale. questa allora si fonda su un concetto fondante di mondo, il mondo quale appunto condizione di possibilità del libero agire, un libero agire che può anche essere l'atteggiamento scientifico, da cui si può dire che il mondo è probabilistico, che la libertà non esiste ecc. sono tutte considerazioni che sono libere (e parziali) variazioni di un unico mondo totale, senza il quale non sarebbe possibile intendere un parziale come tale. il mondo in quanto orizzonte di tutti gli orizzonti possibili, è un che di stabile e certo: vivere significa avere la certezza del mondo, avere uno sfondo passivo-attivo sul quale noi siamo costantemente attivi-passivi. possiamo dire che noi e il mondo siamo sinergici e recettivi: ad un nostro stimolo corrisponde una "risposta", risposta che l'io trascendentale eleva alla forma più elevata e compiuta: il pensiero
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