Sensibili alla Verità: il discorso del papa per "La Sapienza".

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kattoliko
view post Posted on 17/1/2008, 17:27




Salve gente, dopo i fatti clamorosi accaduti all'università "La Sapienza" in Roma desideravo condividere con voi parte del discorso che avrebbe dovuto tenere il papa in quell'occasione. Io l'ho letto e, nonostante la mia cronica ignoranza sugli argomenti trattati, non riesco proprio a capire le motivazioni degli studenti ed ancor di più dei professori, che gli hanno negato il diritto alla parola, ed alla fine della lettura mi sono chiesto: ma dove sta poi la chiusura di Benedetto XVI? Lo propongo a voi, pubblico sensibile alle tematiche contenute in questo testo ricco soprattutto di domande a cui viene semplicemente accennata la risposta, ma che lasciano aperti tutti gli interrogativi che stanno alla base dell'uomo.


[...]Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta.


Bisogna, infatti, chiedersi:


Qual è la natura e la missione del Papato?


E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università? [...] Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma [...] La parola "vescovo"– episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante" – già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità.


Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità.
Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede.


Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.


Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.



Ma ora ci si deve chiedere:


E che cosa è l’università? Qual è il suo compito?


È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota - che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.


Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università.


È necessario fare un ulteriore passo.


L’uomo vuole conoscere - vuole verità.


Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.
Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.



Teoria e prassi.


Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione.


Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio.


Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.
Ma qui emerge subito la domanda:


Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo?


A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica.


I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.


Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato:


Che cos’è la verità? E come la si riconosce?


Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza.


Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità.


Ma come possono esse corrispondere a questo compito?


Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.


Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca.
Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza.
La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.


Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.
Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.


Con ciò ritorno al punto di partenza.


Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?


Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà.


Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.

 
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Farvat
view post Posted on 19/1/2008, 17:06




CITAZIONE
Salve gente, dopo i fatti clamorosi accaduti all'università "La Sapienza" in Roma desideravo condividere con voi parte del discorso che avrebbe dovuto tenere il papa in quell'occasione. Io l'ho letto e, nonostante la mia cronica ignoranza sugli argomenti trattati, non riesco proprio a capire le motivazioni degli studenti ed ancor di più dei professori, che gli hanno negato il diritto alla parola, ed alla fine della lettura mi sono chiesto: ma dove sta poi la chiusura di Benedetto XVI? Lo propongo a voi, pubblico sensibile alle tematiche contenute in questo testo ricco soprattutto di domande a cui viene semplicemente accennata la risposta, ma che lasciano aperti tutti gli interrogativi che stanno alla base dell'uomo.

Non ho purtroppo tempo di leggere il discorso ed il mio commento sarà brevissimo. Tu chiedi dove sta la chiusura di Papa Benedetto VI? Sta nella costante messa in opera dell'obliterazione Del Concilio Vaticano II, cioè il ritorno al Teocentrismo di stampo medievale abbandonando il messaggio umanista di cui Chiesa certamente è potenzialmente portatrice. Simbolico è il ripristino della vecchia liturgia che vede il sacerdote voltarsi verso l'altare ergo verso Dio, voltando le spalle alla Humanitas.
Mi viene in mente con tristezza il libro di Jean Guitton "Il mio Credo" che con entusiasmo lodava papa Roncalli per la sua illuminata conduzione della Chiesa sul sentiero nuovo del Concilio; Chissà che direbbe oggi fosse ancora vivo e potesse vedere lo scempio che questo papato sta compiendo.
Per quanto riguarda la questione della Sapienza, Ratzinger ed il suo entourage hanno colto al volo l'occasione ghiottissima per acuire lo scontro tra pensiero laico e cattolico. La contestazione nell'università se condivisibile per certi aspetti ha finito per diventare un incredibile errore strategico.
Tutto questo non centra nulla con la religione, la gente andrà a san Pietro non tanto in difesa della propria fede quanto per una mera e sciocca questione di identità, malanno tipico dell'era della globalizzazione...
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 21/1/2008, 18:49




io non sarei così superficiale sul fatto che il papa è il vescovo di roma. il papa è una istituzione pre ed extra politica, il papa è capo di città del vaticano, ma roma, per quanto intimamente connessa, è fuori dal vaticano.

il papa può parlare e dire quel che vuole, e io trovo gravissimo che non tanto che i fisici si siano rivolti, ma che la rivolta dei fisici abbia assunto quei toni così assurdi ed irrazionali (cioè non scientifici) che veramente sembrava di essere al teatro dei pupi.
tanto più che ancora se la prendono con la chiesa per Galileo (faccio notare, lo chiamano per nome!), ma hanno stranamente sottaciuto i morti delle atomiche, delle idrogeno.
e per dirla tutta anche delle nubi a forma di fungo che talora ci fanno ombra.

questo sì è veramente grave, soprattutto se chi cerca giustizia per Galileo si presenta come colui che parla in nome del vero sapere, della vera ragione.
ma si nota, che chi parla della vera ragione in questo modo, occultando ove non gli conviene, non è nient'altro che il nuovo padrone della santa inquisizione.
e non mi venite a dire: ma noi fisici che ne potevamo sapere di come sarebbe stata usata la bomba?

sappiate che vi risponderò così: eh si, che ne potevate sapere? eppure fermi si fermò.
e dico questo per rispettare fermi.
se devo dirla tutta, mi metto a ridere: la verità della fisica non spiega l'uso dell'energia atomica?
forse allora, la bellissima energia atomica ancora non ci ha insegnato abbastanza sugli "affari" umani
 
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reiniku
view post Posted on 19/2/2008, 18:49




Bravo Ego, ti approvo in pieno.
Io posso dissentire dal Papa (puoi immaginare se la penso come lui!) ma rispetto la sua figura, il suo ruolo, e il simbolo che moltissime persone vedono in lui. La rispetto perchè in qualche modo è parte della mia tradizione come lo è Galilei o Newton (entrambi religiosissimi comunque)
La condanna di Galilei è figlia dei suoi tempi, non ha a che vedere con la religione in sè, ma con il contesto e il clima politico-sociale del Seicento ossia quello della Controriforma.
Forse (almeno mi auguro) i fisici che hanno incominciato le proteste non intendevano arrivare al punto di escludere il Papa dall'evento ma volevano innescare una riflessione a livello di società civile. Sono troppo ottimista?
Del resto nel mondo cristallino della logica: che senso ha accusare Tizio di oscurantismo e diventare a propria volta oscurantisti?
Sarà anche assurdo ma tutto sommato è un meccanismo psicologico che trova larga applicazione nella realtà e che immancabilmente l'onnipresente Nietzsche non ha mancato di sondare (la formula è più o meno la seguente: si diventa come il mostro che si combatte)

Si è accusato il Papa anche per le sue posizioni "oscurantiste"in merito all'aborto e agli omosessuali(il termine oscurantismo, d'illuministica memoria sembra oggi essere tornato in auge, ma io mi chiedo, che senso ha parlare di qualcosa che si oscura se in questo caso di lumi non ce ne sono?).
Be' non credo che questo debba creare così tanto scalpore. Cosa si pretende dalla Chiesa apostolica romana?
Se qualcosa cambierà nella chiesa cambierà lentamente, e poi ora ci sono ancora tante persone che si rispecchiano in quelle idee "oscurantiste".

 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 19/2/2008, 21:27




il punto reiniku è che il fisico pretende che la propria formula si sostituisca al vangelo. a parte che lo stesso galilei storcerebbe il naso, quello che davvero mi fa paura è l'impostazione immediata ed immediabile, come a dire; il papa dice A - falso. il filosofo dice B - falso. l'avvocato dice C _ falso. il chimico dice Z - beh, per certi aspetti ha ragione.
come giustamente fai notare, a partire dall'onnipotente nietzsche (prima o poi ci faccio una lettura fenomenologico-trascendentale che mi circola per la testa da un pò), il dogmatismo fisico succede al dogmatismo cattolico.
io sarei stato ben felice che il papa, avesse portato avanti un discorso che sò, tipo il capra (autore del celebre tao della fisica), magari, visto che come teoreta non è uno sprovveduto, avrebbe potuto fare un discorso sulle "condizioni di possibilità" di un dialogo tra dio e la fisica.
inutile dire che si sarebbero incazzati di brutto (con buona pace di quanto scriva uno come majorana o come zirchichi), ma almeno sarebbe stato interessante.
del resto, qualche anno fa, mentre davo ripetizioni di scienze ad un bimbo delle elementari (non so che fine ha fatto ora che ci penso), quando arrivammo al bigbang mi disse: "è quello che al catechismo dicono nella genesi?".
fu per me una folgore: immaginai quel big-bang creato dalla parola, dall'espressione "fiat lux".
forse sull'unità che sta dietro ad ogni molteplicità (essere, nulla, uno, pensiero, volontà di potenza)abbiamo ancora molto da imparare

ergo, alla tua domanda:

CITAZIONE
Sono troppo ottimista?

rispondo: altrochè!
 
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Kibuzo
view post Posted on 23/2/2008, 02:38




Comunque si tenga conto che nessuno ha negato al papa di andare alla sapienza. Non so in che clima pacifico viviate voi ma gli striscioni a pisa sono l'ordine del giorno, un giorno i tipi buffi di "sinistra per..." avevano anche messo il nastro adesivo su tutte le porte delle aule per contestare la decisione del Mura di dare meno disponibilità di aule per le feste serali... se il gran filosofo joseph non riesce a tollerare un paio di striscioni allora non mi sembra così adatto al dialogo. E di fatti andava li' per un monologo, quando ha visto che ci sarebbe stata possibilità di dialogo ha preferito capitolare. Scelta sua, peccato che dopo abbia inscenato quella patetica commedia stile "mamma mi hanno fatto la bua" su televisione e giornali, da un capo di stato rigido e autorevole nonché teologo e leader "spirituale" di fama mondiale e potente smuovitore di masse non mi aspettavo un comportamento così "frignone".
 
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reiniku
view post Posted on 23/2/2008, 19:54




Il dialogo è una cosa seria...se poi vogliamo svuotare la parola dalla sua essenza, possiamo dire che anche al Grande Fratello "si dialoga". Mi pare ovvio che una persona non presenzi ad un evento in cui non si senta particolarmente gradita. In ogni caso, non ero presente all'inaugurazione in questione ma credo che chi ha parlato ha portato un discorso preparato, come si usa fare in queste circostanze. Non so quanto spazio per il dialogo o la discussione sia stato possibile, a prescindere dalla presenza del Papa. Trattasi pur sempre di cerimoniali.
Per quanto riguarda il "clima pacifico": ti scrivo a prescidere dal fatto che è uso e costume degli studenti dalle scuole superiori in poi trovare argomenti per scioperi, autogestioni, occupazioni etc. Questo avviene ovunque. Ci sono usi e costumi consolidati che non intaccano la mia capacità di giudizio e di essere sensibile e guai se fosse così. Il diritto di sciopero e di protesta sono diritti fondamentali per me, per questo ho sempre criticato gli abusi in tal senso. Abusare di un diritto significa svilirlo e infine perderlo.

Edited by reiniku - 23/2/2008, 20:11
 
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Darwinner
view post Posted on 3/3/2008, 11:53




CITAZIONE (EgoTrascendentale @ 21/1/2008, 18:49)
tanto più che ancora se la prendono con la chiesa per Galileo (faccio notare, lo chiamano per nome!), ma hanno stranamente sottaciuto i morti delle atomiche, delle idrogeno.

e per dirla tutta anche delle nubi a forma di fungo che talora ci fanno ombra.
questo sì è veramente grave, soprattutto se chi cerca giustizia per Galileo si presenta come colui che parla in nome del vero sapere, della vera ragione.
ma si nota, che chi parla della vera ragione in questo modo, occultando ove non gli conviene, non è nient'altro che il nuovo padrone della santa inquisizione.
e non mi venite a dire: ma noi fisici che ne potevamo sapere di come sarebbe stata usata la bomba?

sappiate che vi risponderò così: eh si, che ne potevate sapere? eppure fermi si fermò.
e dico questo per rispettare fermi.
se devo dirla tutta, mi metto a ridere: la verità della fisica non spiega l'uso dell'energia atomica?
forse allora, la bellissima energia atomica ancora non ci ha insegnato abbastanza sugli "affari" umani

Noi due, temo, non andremo mai d'accordo su niente.. :)

1) Prendersela con la chiesa per il caso Galilei OGGI dici che non vada bene? E delle Crociate che mi dici?.. Io sono convinto che non è mai troppo tardi per chiedere scusa: le scuse, quanso sincere, sono il primo passo verso la pace.

2) L'idea che sta alla base della scienza non ha nulla a che vedere con le distorsioni di cui la guerra (e il denaro) sono capaci. OGNI scoperta e invenzione è stata SEMPRE e SUBITO distorta per fini bellici.. ma NON DAI FISICI: si è trattato di ingengerucoli da strapazzo finanziati dallo Stato!!!
Esempi:
Invenzione della polvere pirica (composto di salnitro, carbone e zolfo) = armi da fuoco e deflagranti.
Ricerca sulle malattie e sulle epidemie = guerre batteriologiche.
Ricerca sull'energia nucleare = Bomba atomica. (ma faccio notare che se si riuscisse ad ottenere un buon progetto sulla fusione atomica sarebbero risolti enormi i problemi mondiali.. ovviamente bisognerebbe aspettarcisi la bomba a fusione da qualche ingegnere da strapazzo finanziato dallo Stato)

3) Fermi si fermò, dopo aver dato un enorme contributo per la costruzione della prima centrale di fissione atomica a Chicago.. e Einstein diede vita ad un movimento pacifista CONTRO l'utilizzo dell'energia nucleare a fini bellici, ma nessuno di loro -per fortuna- fu mai contro la fisica nucleare.

4) La differenza tra scienza e inquisizione (includendo nel termine "inquisizione" anche la chiesa cattolica) è che la prima è sempre stata vista dalla seconda come un nemico da combattere.. la scienza non ha mai negato la religione, almeno fino a pochi anni fa ED ERA ORA che lo facesse!! Secondo me è stato proprio questo uno dei punti deboli della scienza: la sua infinita umiltà di fronte al pensiero trascendente.. io dico: STOCAXXO!.. per me sono tutti liberissimi di credere alle favole (Dio e company) ma rimangono dei creduloni.. ne più ne meno di chi crede ai tarocchi e all'astrologia.

5) Altra piccola differenza tra scienza e cattolicesimo: il cattolicesimo ha più volte nella storia inneggiato al razzismo, alla xenofobia, alle crociate, alle torture.. e tutto IN NOME DI DIO!!!.. la scienza, al massimo, ha permesso a gente senza scrupoli di utilizzare scoperte rivoluzionarie a fini bellici.. come avrebbe potuto evitare che succedesse?.. non avrebbe potuto. Faccio un esempio estremo: la bomba atomica è stata sganciata da un aereo.. forse che gli aerei sono stati inventati per bombardare?.. ma per piacere!!.. e i carri da guerra?.. forse che la ruota fu inventata per costruirci intorno le bighe?.. sono posizione che mi fanno imbestialire le tue Ego: ancor più perchè dette da uno che reputo intelligente.

6) se pensi che la scienza e la tecnologia peggiorino l'uomo, vai su una montagna solitaria a cercare di cacciare il tuo cibo per mangiare.. ah proposito! ovviamente cacciare senza trappole e senza arco. Solo con le mani. Sono convinto che ti limiteresti a frutta e verdura.. e durante l'inverno?.. a mi raccomando! niente stufette e niente coperte.. tutta roba artificiale.. che danneggia l'uomo. E butta via il computer!!.. dopo-tutto con l'elettricità si sono fatte tante cose brutte nella storia..
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 3/3/2008, 13:01




hai ragione, non andremo mai d'accordo su nulla.
anche perchè tu mi metti in bocca (o nei post, fai tu) parole e pensieri che non mi appartengono.
 
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Farvat
view post Posted on 3/3/2008, 14:06




CITAZIONE
2) L'idea che sta alla base della scienza non ha nulla a che vedere con le distorsioni di cui la guerra (e il denaro) sono capaci. OGNI scoperta e invenzione è stata SEMPRE e SUBITO distorta per fini bellici.. ma NON DAI FISICI: si è trattato di ingengerucoli da strapazzo finanziati dallo Stato!!!
Esempi:
Invenzione della polvere pirica (composto di salnitro, carbone e zolfo) = armi da fuoco e deflagranti.
Ricerca sulle malattie e sulle epidemie = guerre batteriologiche.
Ricerca sull'energia nucleare = Bomba atomica. (ma faccio notare che se si riuscisse ad ottenere un buon progetto sulla fusione atomica sarebbero risolti enormi i problemi mondiali.. ovviamente bisognerebbe aspettarcisi la bomba a fusione da qualche ingegnere da strapazzo finanziato dallo Stato)

1) la Bomba a fusione è stata progettata e costruita nei primi anni cinquanta, quando i processi stellari divennero comprensibili alla fisica, il problema della fusione non è provocarla ma controllarla. La bomba H è la bomba a fusione!

2) La gran parte dei fisici di quasi tutte le branche partecipò al progetto Manhattan 2 riguardante la bomba H, lo fecero ben sapendo cosa stavano progettando e costruendo. Infatti fu uno di loro Fuchs che consegnò il progetto ai russi. Il punto é che allora allora c'era una certa confusione e non si capiva se si stessero studiando le stelle per fare la bomba o viceversa.

3) Ti spiacerebbe spiegarci l'idea che sta alla base della scienza?

CITAZIONE
6) se pensi che la scienza e la tecnologia peggiorino l'uomo, vai su una montagna solitaria a cercare di cacciare il tuo cibo per mangiare.. ah proposito! ovviamente cacciare senza trappole e senza arco. Solo con le mani. Sono convinto che ti limiteresti a frutta e verdura.. e durante l'inverno?.. a mi raccomando! niente stufette e niente coperte.. tutta roba artificiale.. che danneggia l'uomo. E butta via il computer!!.. dopo-tutto con l'elettricità si sono fatte tante cose brutte nella storia..

La natura tecnica dell'uomo era già stata individuata da Platone, in discussione non è questo fatto, quanto il ruolo che l'uomo ha assunto con lo sviluppo dell'apparato tecnico scientifico. L'essere umano non è più il fine della tecnica quanto il mezzo del suo autopotenziamento, non a caso si parla di "risorse umane" quando si definisce la forza lavoro che le persone mettono a disposizione del sistema. La chiesa, con la sua storia anche contestabile è però anche portatrice di valori che apertamente contrastano con il liberalismo del mercato che alimenta lo sviluppo tecnologico. Quello che inquieta è che siamo passati dal dominio astratto del Teocentrismo a quello a sua volta astratto del mercato e dello sviluppo tecnico, ovvero abbiamo solo cambiato catene e padrone. Il problema è semmai che in fondo avevamo più il controllo su Dio che sulla Tecnica che ormai cresce e si sviluppa autonomamente rispetto ai nostri bisogni e desideri. Il futuro non è più qualcosa che progettiamo, ma è il futuro che ci progetta in cui ogni problema tecnico si risolve con una soluzione tecnica, senza che ci sia neanche il tempo di porsi domande sul senso di questo sviluppo e sui costi che esso comporta. Come notava acutamente Gunter Anders la storia non è più storia dell'uomo ma si rivela solo come storia della tecnica in cui concetti come felicità, misura, saggezza non hanno più alcun significato ma diventano solo la carota di un desiderio iperbolico che il consumismo alimenta senza che si abbia la minima possibilità di soddisfarlo.
L'umanità sacrifica così se stessa al sogno della sua divinizzazione scientifica, si è ucciso Dio, per poterlo sostituire col caso, che a sua volta deve essere abbattuto e risolto nella predizione matematico scientifica che garantisce all'uomo il potere assoluto sulla natura: Si uccide Dio per prendere il suo posto.
Siamo tutti rotelle ed ingranaggi di questo processo che nessuno sembra più in grado di fermare perché, in effetti ormai, va da solo ed anche chi crede di controllare è un ingranaggio a sua a volta. La nostra specie si avvia cosi tragicamente verso il suo tentativo di superamento di se stessa, ma è un destino tragico perché su questa strada, in ogni caso l'umanità è destinata a sparire per far posto o al nulla o a qualcun altro che umano non sarà.
Qual'è il l'idea che sta alla base della Scienza? Sempre e solo la suprema Volontà di Potenza a cui tutto deve essere sacrificato.
E' ovvio che la Chiesa si opponga a tale piano ma questa opposizione è destinata a fallire, proprio perché l'umanità è condannata ad andare avanti e la tecnologia è troppo seducente, seduzione a cui gli stessi organi ecclesiastici non sanno dire no, perchè a loro volta ossessionati dalla volontà di tornare dominare e proprio per questo saranno schiacciati e dominati a loro volta.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 3/3/2008, 21:32




far, oggi in mezzo al traffico pensavo alla tua riflessione sulla tecnica.
vogliamo parlare della tecnica presso i maya? presso gli egizi? e presso tutte le antiche civiltà "tecno-tecnologiche"?
 
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Darwinner
view post Posted on 4/3/2008, 11:54




CITAZIONE (Farvat @ 3/3/2008, 14:06)
1) la Bomba a fusione è stata progettata e costruita nei primi anni cinquanta, quando i processi stellari divennero comprensibili alla fisica, il problema della fusione non è provocarla ma controllarla. La bomba H è la bomba a fusione!

Hai perfettamente ragione.. Errore mio. (ma comunque non cambia affatto il senso del post) :P

CITAZIONE (Farvat @ 3/3/2008, 14:06)
2) La gran parte dei fisici di quasi tutte le branche partecipò al progetto Manhattan 2 riguardante la bomba H, lo fecero ben sapendo cosa stavano progettando e costruendo. Infatti fu uno di loro Fuchs che consegnò il progetto ai russi. Il punto é che allora allora c'era una certa confusione e non si capiva se si stessero studiando le stelle per fare la bomba o viceversa.

Fu un'eccezione: sai, le guerre mondiali non sono proprio fenomeni all'ordine del giorno, per fortuna.. :cry:

Ovviamente non li giustifico, anzi li condanno. Ma condannando loro non condanno tutti i fisici della storia. Tutto qui. :)
 
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AVUS
view post Posted on 5/3/2008, 10:07




Secondo me L’Università, tempi ante e post guerra 1940, per Roma in particolare

Questo inserto avrebbe dovuto far parte, per ragioni di tempi, del mio libro Ragazzi di Portoria e non Fiaccole di Gioventù, come disposto. Tale scelta l’ho pensata però confacente in quanto esso viene a completare il capitolo me dedicato alla scuola dei tempi del Duce, che ha trattato della mia scuola materna, delle elementari e Superiori di più gradi.
C’è poi che Fiaccole di Gioventù chiude con il 1945, quando avevo diciotto anni, e già da tempo i problemi universitari si presentavano, li trattavamo e conoscevamo nei dettagli, nonché li studiavamo nella scuola e GIL, in vista di un loro possibile obiettivo di vita. Allora:

Ho parlato delle mie scuole, come le frequentai e conobbi, partendo dalla materna e, a seguire, delle elementari, della formazione di primo e secondo grado, dei licei, della maturità conseguita l’anno dopo l’uccisione del Duce, pur sempre con la sua scuola e i suoi indirizzi in atto, ancora non inquinati dal degrado e lassismo che purtroppo verranno presto a rovinare tutto.
In questo inserto tratto dell’Università dei tempi del Duce e successivi, romana e italica, mentre sui livelli precedenti, per quanto possibile, non mi ripeto e rimando ai post specifici.
Non è improprio io parli dell’Università di Giovanni Gentile, di Alessandro Pavolini, del Duce, di Giuseppe Bottai e altri, pur avendola frequentata e meglio conosciuta non nel periodo fascista, non ne avevo l’età, quanto nel primo dopoguerra, 1946, quando era ancora quella di prima dato che, a parte la sua eccellenza, non c’era stato il tempo materiale di cambiare o danneggiare alcunché.
Di essa ne discutevamo già nelle superiori e fra amici, invidiando i pochi che l’avrebbero potuta frequentare e concludere.
Per noi di Roma, inoltre, c’è che fummo testimoni della nascita della nuova “La Sapienza”, alle cui cerimonie di inaugurazione, nel 1935, presenti il Re e le autorità fasciste, eravamo anche noi Balilla e Avanguardisti, in funzione di rappresentanza e presenza del Partito.
C’ero anche io, inquadrato con gli altri, avevo otto anni o poco più.
La positività ed efficienza della “La Sapienza” furono più che eccellenti tanto che, successivamente al decennio 1935 - 1945, ormai in periodo non più fascista, per vari anni essa non cambiò nulla nei suoi ordinamenti generali, di facoltà, di corpo docente, salvo ritocchi di facciata, quali l’eliminazione dei simboli del regime, non sempre attuata, l’adeguamento di alcuni programmi, il reintegro del Lei al Voi, qualche rettore e professore cambiati, spostati, aggiunti.
Man mano la situazione perse però l’iniziale indirizzo, sino alle astrusità del 1968 e seguenti, della cosiddetta Rivoluzione Culturale, che la sviliranno oltre ogni limite, lasciando un’eredità pesante ai tempi successivi, con riflessi ancora presenti.
Inizio a dire delle “Università degli Studi” e di quella romana in particolare, a valere specularmente per ogni altra del paese.
Anzitutto le Università nacquero nel medioevo come unioni di Studenti che si associavano per meglio gestire la loro preparazione nei singoli indirizzi di Studio, oggi diremmo Facoltà, cercandosi e scegliendo i migliori professori allora disponibili.
Solo successivamente gli insegnanti si affiancheranno a loro e, gradualmente, sarà altrettanto per le Corporazioni, i Comuni, Entità sociali, religiose, civili, finché si giungerà alla forma odierna delle Istituzioni Pubbliche, rientranti nelle politiche didattiche dei singoli Stati. Ciò è detto senza nulla togliere alla coesistenza di analoghe Istituzioni Private, laiche o religiose, riconosciute o meno dallo Stato.
Comunque, qualsiasi forma di gestione esse abbiano avuta, resta che la loro caratteristica sia rimasta, o dovrebbe essere, quella dell’ assoluta libertà di pensiero, espressione, sperimentazione.
Per quanto riguarda Roma e l’Università “La Sapienza”, fra le tre maggiori nazionali e di rilievo fra le europee, sorsero anche qui, inizialmente, i gruppi di studenti che, tali i colleghi italici, si associarono onde gestirsi un apprendimento confacente.
Avvenne però che, anticipando le impostazioni future, il Papa Bonifacio VIII, con bolla del 20 Aprile 1303, si assunse l’onore e l’onere di istituire lo “Studium Urbis” progenitore della “La Sapienza”, nome assunto nel XVII secolo, prima che Alessandro VII ne trasferisse la sede nell’edificio costruito appositamente nel rione Sant’Eustachio, che prenderà il nome di “Palazzo della Sapienza”.
Di recente, anni sessanta, il nome è stato variato in: “Sapienza Università di Roma”, pressoché identico al primitivo.
L’Università romana, oltre una gestione laico-ecclesiastica, ebbe anche una conduzione Municipale durante i decenni dello spostamento Papale ad Avignone, per tornare nella sfera Vaticana con il ritorno della Santa Sede a Roma, e tale resterà fino al 1872, quando il governo dell’Italia unita la incluse nella sua legislazione, nominando rettore il professor Clito Carlucci. Ci saranno pure due brevi intermezzi di gestione “laica”, il primo quello napoleonico, che sposterà la sede al palazzo del Collegio Romano, nell’omonima piazza, il secondo nella breve esperienza della Repubblica Romana, rientrando poi nella impostazione e sede consuete dopo i declini di Bonaparte prima e Mazzini poi.
Ed eccoci agli inizi del secolo scorso e del regime fascista. Ne verrà che, grazie alla volontà del Duce, e all’eccezionale competenza del ministro Giovanni Gentile, il riformatore della scuola e fra i maggiori filosofi del tempo, ne venne disposto il potenziamento e l’ampliamento, rendendola pari o superiore alle analoghe sedi nazionali ed estere.
Si decise così la creazione della “Città” Universitaria, centro moderno, avveniristico, per la formazione dell’intellighentia romana ed italica, progettato e realizzato dai teams guidati dall’architetto del regime Marcello Piacentini, al quale dobbiamo il rinnovo di tanta parte pubblica e privata d’Italia, nonché il sorgere dell’E42 a Roma.
Ebbene, al pari delle altre iniziative, essa venne realizzata in tempi brevissimi e inaugurata, come detto, nel 1935.
La sede precedente del Palazzo della Sapienza, in Corso Rinascimento, verrà lasciata libera e utilizzata da uffici di Stato.
Ricordo ci dicevano: …”Il Duce ha voluto questa città degli studi per voi, per l’Italia, per tutti. Pensate, è prevista per più di diecimila studenti!! (una esagerazione, rasentante la millanteria) e non è escluso che alcuni di voi, i più in gamba, con l’aiuto del Partito e delle famiglie, non possano frequentarla”. Quanto ai diecimila, numero che ci spaventava, pensavamo: ”e che ci faremo con diecimila dottori in qualcosa sfornati ogni anno? Assieme poi alle altre università del Regno? Si sommeranno negli anni divenendo centinaia di migliaia! E a che serviranno tanti laureati? E come vivranno loro?”…
Ciò senza considerare che oggi alla Sapienza gli iscritti sono centocinquantamila, oltre le altre di Stato che si sono aggiunte (Roma due, Roma tre ..) e le private (Gemelli, Campus Biomedico, Luiss, Immacolata, Vaticane e altre) di tutto rispetto,
In totale una diecina, poco più che meno. E la domanda che ci ponevamo è tornata in auge: perché tanti laureati? che faranno poi? E che livello di formazione, maturità, sarà presente in loro?
A conferma c’è che, a parte l’auspicabile preparazione personale, il mercato del lavoro e professioni, oltre il mare dei disoccupati, è oggi sommerso da folle di “praticanti”, “apprendisti”, “borsisti”, “tirocinanti”, “sottoccupati più o meno eterni”, precari, retribuiti sovente con un quasi nulla di concreto.
E alcuni di loro, i più fortunati, li ho trovati addirittura fra gli assunti stabili del Servizio di Pulizia Urbana, frammezzati a svogliati operatori ecologici. Con due di loro, giovani donne, ci ho parlato negli scorsi giorni mentre svolgevano blandamente i servizi nelle centrali via Condotti e Piazza di Spagna; erano entrambe laureate.
Come non ricordare allora la mia esperienza di gioventù quando, con tre titoli conseguiti, Computista, Perito Commerciale e Ragioniere, svolsi per più di cinque anni mansioni operaie come facchino, cuoco, pastaio, mugnaio, con turni notturni che occupavano oltre due terzi dei lunghi orari di lavoro?
Ora passo al particolare, coinvolgendo l’esperienza da me avuta, esemplificativa di una realtà più generalizzata.
L’Università del mio tempo era un’istituzione esigente e affidabile.
Non aveva bisogno di numeri chiusi, almeno come si intende oggi, data la limitazione dei suoi iscritti. Era regolata da norme di accettazione rigide, chiare, facenti parte delle disposizioni della riforma Gentile. L’ammissione principe nelle facoltà era data dalla maturità Classica, costituendo essa il maximum della nostra istruzione superiore. Già con la maturità scientifica le possibilità di scelta erano minori, mentre con le maturità tecniche, commerciali, geometri, magistrali, artistiche, specialistiche, le ammissioni erano ristrette ad alcune specifiche facoltà.
Inoltre l’Università, pur non costando poco, poteva anche affrontarsi, con sacrifici notevoli, da chi vivesse in città, non così per i molti foranei il cui maggior onere derivava dalle spese del “fuori casa”, visto che provenivano dalla provincia o città prive di Atenei.
Ne conseguiva una certa discriminazione di fatto, sia per i diversi livelli delle maturità conseguite, sia per ovvii motivi finanziari.
E ciò in un’epoca in cui della prole ne esisteva a iosa, s’iniziava a lavorare a dieci anni, nonché l’indigenza portava a far studiare i figli nella misura minima sufficiente per un veloce inserimento nel lavoro.
Il paragone con oggi è impossibile. Attualmente una qualsiasi maturità consente l’accesso a tutte le facoltà, salvo il superare l’ostacolo, in alcuni casi, dei numeri chiusi, comunque superabile, vista l’abbondanza dei candidati all’iscrizione.
Inorridisco al pensare a futuri avvocati e magistrati, laureati in Legge senza aver studiato filosofia, latino, greco, così per Medicina-Chirurgia, Psicologia, altre, come esempio. Ben fece Gentile che per la mia duplice maturità commerciale previde l’accesso a Scienze Economiche, Scienze Statistiche, Scienze demografiche e attuariali, le più rispondenti alla formazione avviata e consolidata, pur se studiai un bel pò di latino, oltre filosofia-mistica nella GIL. (contestavo però l’accesso alle mie facoltà da chi provenisse dai licei, senza un briciolo di studi in economia, diritto, amministrazione privata e pubblica).
L’abnorme inflazione di presenze odierna l’ho dovuta constatare con mio figlio, impossibilitato a frequentare lezioni di rilievo nella facoltà di matematica in quanto le due aulette disponibili, sui duecento posti ognuna, in rapporto ai diecimila e più iscritti, traboccavano già ore prima dell’inizio (e lo dovetti trasferire alla Statale di Milano).
Altrettanto dico per un mio nipote il quale, nella facoltà di Scienze della Comunicazione romana, credo ventimila iscritti (che faremo con tanti comunicatori! bah!), viene sballottato non in aule universitarie, ma in sale cinematografiche e parrocchiali impegnate per l’occasione!
Ed ho visto esami di Laurea in Architettura svolti in serie, senza domande specifiche, bensì con un veloce passaggio della commissione davanti gli scanni ove erano esposti i lavori dei laureandi, con loro accanto, ai quali, per lo più, non venne chiesto nulla. Ho assistito ad esami di Economia in ambienti e strutture fatiscenti e sciatti, con esaminatori di livello non eccelso.
E non dico degli esami collettivi del sessantotto e successivi, quelli del “diciotto” politico, che non si rifiuta a nessuno purché di indirizzo rosso o rossastro, nei quali si laureò in Economia un mio congiunto su cui non mi dilungo, nel timore possa leggermi e affrontarmi in malo modo il quale, malgrado la laureetta, seguiterà a fare il mezze-maniche, andandosene in pensione semi-baby per le difficoltà dell’azienda ove lavorava (rifiutai la possibilità di usufruire anch’io del titolo facile). Non posso dire altrettanto per la mia prima figlia, oggi medico, e il suo più che eccellente Ateneo di Pavia.
Per l’Università come la concepivo, e la concepisco tutt’oggi, mi iscrissi a Scienze Economiche nel 1946, nella Sede di Piazza della Fontanella Borghese. Era sempre quella dei tempi del Duce, con un numero non eclatante di studenti, la frequenza ferreamente d’obbligo nelle materie principali, i professori e gli studenti che si conoscevano. Aggiungo un insegnamento eccellente, testi del periodo di Gentile, serietà ed applicazione da parte di tutti.
Per il 1947 e 1948 le cose andarono bene, ne ho parlato in Diari di Vita, e superai vari esami principali e minori.
Poi giunse il 1948, con il servizio di leva che decisi di svolgere e l’emergenza imprevista dell’attentato a Palmiro Togliatti, il capo dei comunisti italiani, che scatenò l’Italia del centro-nord, Toscana e Emilia in particolare, ove mi trovavo, in una nuova guerra civile, cosa che ci impegnò al massimo come esercito, e mi impedì di sostenere alcuni esami nei quali mi ero preparato.
Finito il militare eccomi passare da operaio a impiegato, cosa per me eccelsa, ma con il risultato che gli orari di lavoro partivano dalle otto e trenta mattutine per cessare alle diciannove, sabato compreso, salvo un intervallo di pranzo. Con ciò dovetti dire addio al frequentare le lezioni mattutine obbligatorie, sarebbe stata la stessa cosa per le pomeridiane, mentre le serali non esistevano (come operaio, per frequentarle, ottenni di svolgere solo turni notturni e pomeridiani).
A nulla valsero sotterfugi meschini escogitati per superare ciò, scoperti puntualmente dai professori di esame. I tempi però stavano cambiando e si diceva che gli odiosi bolli sui libretti sarebbero stati aboliti. In effetti ciò avvenne, con il risultato che una notevole massa di studenti si trasformarono di colpo in coloro definiti “Sapienza e Volontà”, intendendo con Sapienza l’Università di appartenenza, e per Volontà non le qualità personali dell’allievo, bensì l’Istituto per corrispondenza Volontà, imperante nel campo delle preparazioni alle maturità, onde sottointendere che le lauree erano conseguite con lo studio casalingo, con il “fai da te” di sempre, anche di oggi, per quanto razionale, concreto o controproducente esso sia stato.
I momenti però erano duri e una laurea prevedeva in primis fini di lavoro e impiego, più che una formazione e soddisfazione personali.
Per quanto mi riguarda, con le mie maturità, avevo già raggiunti nel lavoro livelli di tutto rispetto, compatibilmente con l’età, ed era ovvia la mia intenzione a migliorarli tramite il dottorato in economia.
Due eventi mi posero però in aspettativa imprevista, per riprendere la conclusione in momenti successivi e in forma diversa.
Ho detto più volte che ci trovavamo in periodi duri di luci, ombre, pericoli, delusioni, e ne venne che da due filoni particolari della vita d’allora vennero chieste, a me ed altri, prestazioni particolari, anche molto, coinvolgenti un bel pò della mia e nostra disponibilità.
Uno di questi, non proprio alla luce del Sole, riguardava il mio Datore di lavoro, cioè i preti, e non mi tirai indietro, l’altro, ancor più anomalo e indirizzato, si riferiva ad una entità -politica diciamo “nera”, più concreta, spicciativa, e di una certa riservatezza. Questi impegni, non senza rischi, contribuirono, assieme ai miei orari balordi, a mandarmi un po’ fuori corso. Al loro cessare mi trovai con una situazione universitaria diversa, cambiata in meglio per la libertà delle frequenze, e in peggio per tanti motivi anticipatori delle nubi che si addensavano all’orizzonte. Nel contempo erano sorte nuove esigenze nell’Azienda ove ero occupato. Così il Direttore:
…”Sò che sta riprendendo gli studi e ha intenzione di concludere per la laurea in tutta velocità. Parliamone un po’, se vuole”…
…”sappiamo che l’Università romana è in degrado e, meglio di noi imprenditori non può dirlo nessuno, tanto che se ci serve qualcuno in gamba lo prendiamo alla Bocconi di Milano. Nell’ufficio ci sono quattro impiegati che stanno portando avanti esami col consueto poco entusiasmo, aggiungo scarso anche per la Società e me, che non sò cosa farci quando s’illuderanno di essere diventati chissà chi”..
…”non si aggiunga anche lei a loro, perché l’azienda di amministrativi più o meno bravi, ma senza vèrve, ne ha fin troppi. Mi serve invece un futuro dirigente commerciale sul quale puntare, a cui farei iniziare da subito uno specifico percorso di lavoro, senza attendere oltre, e ho pensato a lei. Le faccio una proposta, la valuti”..
…“Fra le nostre Associazioni Industriali, d’accordo con il Dicastero della Pubblica Istruzione (quello per l’Università non c’era), abbiamo creato da tre anni a Torino, col patronage Politecnico, un Istituto Universitario dedicato alle necessità che noi Aziende stiamo avendo in questo dopoguerra, sia nel campo nazionale che internazionale”…
…”Il Ministero rilascerà i diplomi in “Scienze Aziendali” per gli indirizzi specifici che si sceglieranno. Soldi non ne darà e non li aspettavamo. A quelli penseremo noi, oltre le rette dei partecipanti, che non saranno quelle delle Università di Stato”…
“Partirà a Ottobre un corso basato su un triennio applicato al Marketing, Promozione, Immagine, e un biennio alla Organizzazione Commerciale e Amministrativa. Il numero è chiuso e le sessioni due, una per i giovani delle maturità, un secondo per funzionari, dirigenti, capi-uffici, che destineremo noi, questi con svolgimento dal Venerdì pomeriggio alla Domenica compresa. Le ore di studio saranno le stesse, solo che il training da loro applicato in aziende voi lo risparmierete, in azienda ci siete già, e per gli esami già sostenuti vedranno se riconoscerne alcuni, potrebbe risparmiarsi pure un anno”
…”Se lei accetta, e io in tal senso mi sono sbilanciato, valuti che dovrà essere una sua decisione. Non potremo riconoscergli rimborsi, li chiederebbero tutti, né altre facilitazioni. Ciò non vuol dire che per lei io non possa chiudere un occhio, anzi due, su ciò che è possibile fare. Quanto al lato economico farò in modo che guadagni di più, con qualche incarico e gratifica; non correlato allo studio. Come benefit, lo avevo già deciso escluso Torino, gli assegneremo uno dei venti appartamenti che stiamo approntando all’interno dello stabilimento, ad un fitto del tutto simbolico, praticamente gratis, e non è poco; ciò la faciliterà senza problemi per me e altri (mi ero sposato da poco)”…
…”Se ci vuol pensare si prenda qualche giorno e vada a Torino a dare uno sguardo al tutto. Interessa anche a me saperne di più; sul colloquio fra noi la prego di mantenere riservatezza. Sappia che sull’iniziativa e sugli sviluppi ho sentito solo lei”...
Eccomi allora proiettato a Torino, ove conoscerò una realtà formativa e didattica di una serietà inconcepibile per noi romani o foranei, eccomi a tu per tu con valenti colleghi professionisti, tecnici, dirigenti, provenienti dalle maggiori realtà nazionali, rispetto le quali la mia entità di lavoro, pur la maggiore romana, è minima cosa, eccomi divenire un abitué dei primi treni cuccetta che iniziavano a circolare, eccomi un assiduo dei voli notturni postali, solo o in pochi, fra pacchi, colli, sacchi di corrispondenza, che mi sbarcavano a Caselle in piena notte, con pernottamento finale nella sala sosta, in attesa del primo pullman-navetta del mattino, eccomi studiare dappertutto, nonché rinunciare alle ferie e festività varie per i Sabati che utilizzavo, allora lavorativi, i quali mi vedevano fuori sede, oltre vari Venerdì aggiuntivi (non tutti), eccomi sostenere decine di esami impegnativi, con docenti all’incirca di pari età, a me accomunati con l’esperienza di un lavoro di media o alta dirigenza in atto.
Alle due discussioni di tesi mi accompagnò mia moglie.
Conseguii quasi il massimo della votazione e, con la loro esigente pignoleria, non è che si allargassero con alcuno.
Venni poi invitato ufficialmente a ritirare una corrispondente laurea negli Stati Uniti, previo un colloquio di conferma, in quanto l’Istituto Torinese, tramite i gruppi che lo patrocinavano, era il corrispondente paritario dell’International University Top Executives – IUTE - (Università Internazionale Dirigenti d’Azienda).
Il titolo USA non andai a ritirarlo, pur sollecitato a farlo, in quanto allora un volo-soggiorno USA costavano una fortuna e non una scemenza come oggi, altrettanto per la tassa di colloquio e titolo, e inoltre non mi era al momento necessario.
Che dire? Negli studi torinesi ritrovai la serietà e la responsabilità della scuola e dell’Università dei miei tempi, quella del Duce e di Gentile, che formò i quadri eccellenti che diressero l’Italia di prima e dopo la guerra, sino a che il cancro del sessantotto francese non ci colpì con le sue metastasi. Studi oltretutto i quali varieranno in meglio, e molto, la mia situazione di lavoro, presente e futura, quando dovrò cercarmi altra sistemazione in quanto la mia azienda, affermatissima, dovette chiudere i battenti a seguito di una insensata lotta sindacale, diretta soprattutto contro il Vaticano proprietario, il quale decise così di venderla a un gruppo USA che la manderà in dissesto in quanto i veri interessi erano immobiliari e non industriali.
Per quanto mi riguarda, grazie sia al Duce, sia a Giovanni Gentile, aggiungo Alessandro Pavolini e Giuseppe Bottai, oltre il mio intendimento ad uscire dal mondo delle necessità che ci avvolse quando tutto cadde, eccomi assegnato a incarichi sempre più elevati e responsabili, funzionario, dirigente, direttore settore, amministratore delegato, eccomi a lavorare con italiani, elvetici, americani, inglesi e, infine… eccomi in relativo riposo, non dico pensione, mi va’ storto (ah! gli anni), pur impegnato a scrivere qualcosa per me, per i miei, gli amici e lettori, mi auguro anche per un po’ di posteri! perché no?
Non avrei raggiunto nulla, però, se mi fosse mancata la spinta e la serietà inculcatemi in gioventù dal Duce e Gentile, e non avessi trovata una sede prestigiosa cisalpina che mi riprese a balia di studi, ormai semiadulto e non ragazzotto speranzoso.
No, cara “La Sapienza”, ti stimo, ti rispetto, mi rivedo balilla nel tuo piazzale con vicini il Re e altri d’allora, ma consentimi di riconoscerti poco per quella che dovevi essere nelle intenzioni del mio Capo e del mio ministro e filosofo di gioventù.
E non ho toccato i tanti lati bui della tua vita interna, le sommosse rosse e rossastre, quelle altrettanto cupe del nostro nero, Paolo Rossi, Marta Russo, i tanti sprangati dai facinorosi, le contestazioni ai politici e sindacalisti di spicco, fino all’ultimo episodio di vietare la parola al Papa professore e teologo Benedetto XVI, il successore nientemeno di quel Bonifacio VIII che ti fondò, e dei tanti Papi che curarono la tua conduzione e impostazione.
No, non ti riconosco, pur se non posso dire tu mi sia estranea..
E dove è la libertà di parola, sempre garantita all’interno degli Atenei? Dove è la libertà di giudizio, il rispetto delle idee altrui, la tolleranza e la socialità obbligate, non facoltative, per coloro che abbiano potuto godere di un certo livello culturale?
Resta che, a parte le incongruenze scontate dei “nostri” facinorosi neri, magari per autodifesa, immaturità, contrapposizione, comunque con nessuna mia scusante, i cosiddetti rossi ti abbiano trasformata in un centro di intolleranza ed estremismo, ben lungi da ciò che dovrebbe essere la tua funzione e delle intenzioni di chi ti diede vita, del Papa Bonifacio VIII, del ministro Gentile, dei tuoi rettori più illuminati.
E non puoi immaginare quanto mi sia costato esprimermi così.


Per finire ecco l’inno degli Universitari Fascisti


Siamo fiaccole di vita,
siamo l’eterna gioventù
che conquista l’avvenir
di ferro armata e di pensier

Per le vie del nuovo Impero
Che di dilungano nel mar
marceremo come il Duce vuole,
dove Roma già passò.

Bocche di Porpora ridenti,
date amor, date amor,
e noi domani a tutti i venti
daremo il tricolor.

O nude stanze,
fredde, squallide nell’ora di studiar,
dove speranze
sogni, canti pur ci vengono a trovar

a noi veglianti
sui volumi d’ogni scienza e d’ogni età,
il dover gridi: “Per l’Italia e per il Duce
ejia, eja, eja, alalà!”

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Kibuzo
view post Posted on 12/3/2008, 22:52




QUOTE (reiniku @ 23/2/2008, 19:54)
Il dialogo è una cosa seria...se poi vogliamo svuotare la parola dalla sua essenza, possiamo dire che anche al Grande Fratello "si dialoga". Mi pare ovvio che una persona non presenzi ad un evento in cui non si senta particolarmente gradita. In ogni caso, non ero presente all'inaugurazione in questione ma credo che chi ha parlato ha portato un discorso preparato, come si usa fare in queste circostanze. Non so quanto spazio per il dialogo o la discussione sia stato possibile, a prescindere dalla presenza del Papa. Trattasi pur sempre di cerimoniali.
Per quanto riguarda il "clima pacifico": ti scrivo a prescidere dal fatto che è uso e costume degli studenti dalle scuole superiori in poi trovare argomenti per scioperi, autogestioni, occupazioni etc. Questo avviene ovunque. Ci sono usi e costumi consolidati che non intaccano la mia capacità di giudizio e di essere sensibile e guai se fosse così. Il diritto di sciopero e di protesta sono diritti fondamentali per me, per questo ho sempre criticato gli abusi in tal senso. Abusare di un diritto significa svilirlo e infine perderlo.

Certo, e lui che sputa tutto il catarro che riesce a raccogliere in un colpo solo sulla scienza invece bendispone tutti. Guarda che se in italia i ricercatori muoiono di fame è unicamente colpa del papa e dei suoi proseliti...
Quei fisici sono dei partigiani, e mi rendono orgoglioso non in quanto anticattolico quale sono(ognuno ha le sue idee, e non pretendo, a differenza d'altri, che la mia venga condivisa unanimamente), ma in quanto memvro di una "razza oppressa dal fanatismo religioso" che oggi è così padrone dell'italia.
 
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reiniku
view post Posted on 13/3/2008, 11:38




Ma allora a chi posso dare la colpa io se i laureati in filosofia "muoiono di fame" a patto che non facciano "tutt'altro"?
Vedi, il fatto è che il tutt'altro non va neanche disprezzato perchè sporcarsi le mani fa bene... ma dipende tutto dalle capacità del soggetto naturalmente.
Vorrei sottolineare il fatto che io non sono cattolica, anzi, tanto per intenderci ero una di quelle persone che non seguiva le lezioni di religione alle superiori (a dir la verità ero l'unica ai tempi, parliamo di più di 10 anni fa).
Ma a dir la verità il mio anticlericalismo risale a molto tempo prima: ricordo delle accese discussioni alle scuole medie con il prof. di religione, un prete, in merito ad alcune mie domande, senz'altro inopportune e che sarebbe divertente riportare in un altro post anche perchè le risposte fanno davvero ridere!

Non so se è colpa del "papa e dei suoi proseliti" se gli scienziati muoiono di fame in Italia. So solo che nel Mondo si muore veramente di fame, circa 250.000 persone al giorno (senza contare tutte le morti lente legate alle malattie da malnutrizione) e certamente questi morti non sono in Italia dove c'è uno Stato assistenziale per fortuna, non come in America...
Ti assicuro che neanche l'ultimo barbone in Italia muore di fame perchè le suore o i preti non gli negano mai un piatto caldo o un posto per dormire e neanche i vestiti.
I preti e le suore, la vera Chiesa, sono in tutto il mondo a seguire progetti di sviluppo integrato nelle zone più svantaggiate del Mondo. Sia ben chiaro, ci sono anche tanti laici e "non credenti" come Gino Strada e spero ce ne siano sempre di più.
 
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22 replies since 17/1/2008, 17:27   381 views
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