Esperienza?

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DrManhattan
view post Posted on 29/7/2009, 17:21




CITAZIONE
Vuoi dirmi che una volta che hai imparato ad andare in bici, quando la riprendi a distanza di anni non sai più andarci?
E il fatto che ci sai andare nonostante gli anni di non utilizzo a cosa lo devi?

Ti giuro che quando salgo in bicicletta non me lo domando neppure.

Come quel millepiedi che viveva felice.
Un giorno incontrò la rana e la rana gli chiese:
-Come fai a mettere i piedi uno davanti all'altro senza inciampare?-
Il millepiedi ci pensò e da quel momento non fu più in grado di camminare.
:D

CITAZIONE
I ricordi col tempo si possono anche offuscare, l'esperienza che è diversa da persona a persona, che si può fare lungo il cammino della vita, rimane. Non tutti hanno la possibilità di fare esperienza allo stesso modo. C'è chi vive intensamente (vivere inteso lavorare, amare, viaggiare ecc. ecc.) e c'è chi invece sopravvive o vive facendo sempre le stesse cose) Il primo rispetto al secondo, durante il suo percorso avrà avuto modo riempire il suo bagaglio e non solo perchè avrà magari visitato qualche città in più, ma perchè vivendo intensamente e uscendo dai limiti avrà avuto modo di fare conoscenza, che io chiamo esperienza.
E tra le due persone appena citate ci sarà una grandissima differenza.

Per me la grandissima differenza non sta nella quantità di bagaglio o nell'intensità delle conoscenze, ma nella qualità dell'essere.
In vita mia ho conosciuto persone che sono "uscite dai limiti" (come dici tu) ma non hanno mai veramente fatto neanche un passo avanti, mentre altre che sono rimaste dove sono sempre state, conoscevano il mondo senza averlo visto.

CITAZIONE
So di sbagliare, mi è già successo, ho provato, non ho avuto fortuna, mi è andata male, mi sono ferito, ho sofferto.....ecc. ecc. ma rifaccio la stessa cosa. Perchè? C'è chi la chiama immaturità. C'è chi la chiama "masochismo", c'è chi la chiama superficialità.....c'è invece chi vive in questo modo e non si pone il problema. E' consapevole di aver esperienza in quella determinata cosa...ma sbaglia ancora.

Tu dici che davvero è così consapevole?
Non ne sarei così sicuro.

Comunque... contento lui...
^_^

CITAZIONE
Quello che sarò esiste qui ed ora come possibilità, nel modo della possibilità. Così come ciò che sono stata.
Ed è l'esperienza del non-essere?

Secondo me l''esperienza del non-essere non può essere descritta.
Ma solo sperimentata.
;)
 
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ladyel
view post Posted on 29/7/2009, 17:37




CITAZIONE (DrManhattan @ 29/7/2009, 18:21)
CITAZIONE
Vuoi dirmi che una volta che hai imparato ad andare in bici, quando la riprendi a distanza di anni non sai più andarci?
E il fatto che ci sai andare nonostante gli anni di non utilizzo a cosa lo devi?

Ti giuro che quando salgo in bicicletta non me lo domando neppure.

Come quel millepiedi che viveva felice.
Un giorno incontrò la rana e la rana gli chiese:
-Come fai a mettere i piedi uno davanti all'altro senza inciampare?-
Il millepiedi ci pensò e da quel momento non fu più in grado di camminare.
:D

Perchè hai acquisito ciò che hai sperimentato.
Metti in pratica un metodo che non ha bisogno di essere rivisto.

Io credo che il millepiedi debba imparare a fare esperienza perchè forse fino ad ora è andato avanti facendo solo qualcosa di ripetitivo o visto fare ad altri suoi simili e non qualcosa sperimentato nel tempo.

Edited by ladyel - 29/7/2009, 18:56
 
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DrManhattan
view post Posted on 29/7/2009, 18:42




CITAZIONE (ladyel @ 29/7/2009, 18:37)
Io credo che il millepiedi debba imparare a fare esperienza perchè forse fino ad ora è andato avanti facendo solo qualcosa di ripetitivo o visto fare ad altri suoi simili e non qualcosa sperimentato nel tempo.

Ma il "qui e ora" dov'è finito?
:huh:
Il millepiedi non faceva qualcosa di ripetitivo, ma quello che era nella sua natura.
E scusami, ma oltretutto lo ha sperimentato eccome nel tempo... addirittura fin da quando si è evoluto dallo stadio larvale!
Perciò la domanda che sorge spontanea è: per quale motivo ha improvvisamente dimenticato come si fa?

Forse perché mirando a qualcosa l'ha perso?
O perché una rana non parla (e d'altronde neanche il millepiedi)?
:D
 
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ladyel
view post Posted on 29/7/2009, 19:10




CITAZIONE (DrManhattan @ 29/7/2009, 19:42)
CITAZIONE (ladyel @ 29/7/2009, 18:37)
Io credo che il millepiedi debba imparare a fare esperienza perchè forse fino ad ora è andato avanti facendo solo qualcosa di ripetitivo o visto fare ad altri suoi simili e non qualcosa sperimentato nel tempo.

Ma il "qui e ora" dov'è finito?
:huh:
Il millepiedi non faceva qualcosa di ripetitivo, ma quello che era nella sua natura.
E scusami, ma oltretutto lo ha sperimentato eccome nel tempo... addirittura fin da quando si è evoluto dallo stadio larvale!
Perciò la domanda che sorge spontanea è: per quale motivo ha improvvisamente dimenticato come si fa?

Forse perché mirando a qualcosa l'ha perso?
O perché una rana non parla (e d'altronde neanche il millepiedi)?
:D

ahahaha!

:(
diciamo che ho scambiato il millepidi per una persona....

Il "qui e ora" non mi trova completamente d'accordo, non è l'esperienza.
E' solo l'ultima parte dell'esperienza, quella che sto mettendo in pratica ora.

Edited by ladyel - 29/7/2009, 23:27
 
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lorelei57
view post Posted on 29/7/2009, 22:24




CITAZIONE
Per me la grandissima differenza non sta nella quantità di bagaglio o nell'intensità delle conoscenze, ma nella qualità dell'essere.
In vita mia ho conosciuto persone che sono "uscite dai limiti" (come dici tu) ma non hanno mai veramente fatto neanche un passo avanti

il mio ero un esempio, posso comunque concordare con te.
Io parlo e vi porto esempi su fatti accaduti. Non scrivo tanto per scrivere.


CITAZIONE
mentre altre che sono rimaste dove sono sempre state, conoscevano il mondo senza averlo visto.

questa frase e questa:

CITAZIONE
Secondo me l''esperienza del non-essere non può essere descritta.
Ma solo sperimentata

.

mi hanno decisamente colpita!
Dimmi se sbaglio, ma se le nostre risposte viaggiano su binari diversi è perchè vanno in direzioni diverse!
Di che esperienza stai parlando Dr. Manhattan? :unsure:
Mi sono sgolata inutilmente :D (scherzo ovviamente) e non capivo, perchè pensavo che fosse diverso il significato della mia e della tua esperienza.
Ma non era il significato ad essere diverso, ma proprio L'ESPERIENZA!

Vi giuro non ho bevuto :D spero che il Dr. Manhattan abbia capito a cosa alludo e mi spieghi veramente a quale esperienza allude!
Grazie, è costruttivo dialogare con voi!!!!
 
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DrManhattan
view post Posted on 30/7/2009, 10:04




Contraddirò volutamente il finale del mio ultimo intervento, per fare in modo che i nostri binari formino (seppure temporaneamente) uno scambio, lorelei, dato che quello che dici è sacrosanto.
Le esperienze sono sempre e comunque individuali, in qualsiasi modo si intendano.
Però (metto subito le mani avanti) se in qualche punto potrò sembrarti "fumoso" non è per atteggiarmi o per fare il misterioso a tutti i costi, ma perché alcune esperienze sono realmente impossibili da descrivere. Specie quando si parla di una cosa così profonda (e quella si che è individuale) come "l'esperienza del non-essere" evocata da alice (e anch'io, come te, parlo di fatti accaduti, non tanto per scrivere).
Comunque... questa (ovviamente per sommi capi) è la storia:

Molti anni fa litigai furiosamente con una mia amica, la quale conviveva con una situazione familiare e affettiva disastrosa. Il motivo scatenante del litigio era dovuto al fatto che improvvisamente (e senza alcun preavviso) rinfacciò a me e alla mia ragazza (che per anni entrambi avevamo cercato in tutti i modi di aiutarla, di "smuoverla" dalla sua situazione) che quello che avevamo fatto per lei fino a quel momento era per farle invidia che noi stavamo bene e lei no.
Ora, lei sarà stata anche matta, d'accordo, ma noi due non eravamo da meno, avendo agito d'impulso, pensando di farlo "per il suo bene", senza tener conto che non sapevamo neanche quale fosse questo "bene", dato che non stavamo nella sua testa... né del resto potevamo starci.

Potrà sembrare una cosa stupida, ma per quanto mi riguarda ci sono stato talmente male, che ho cominciato (forse per la prima volta in vita mia) a voler trovare delle risposte concrete per questo mio malessere interiore.
Fino a quel momento ero stato un epicureo, che mangiava e beveva e viveva senza tregua, che faceva del "chi vuol esser lieto sia" il suo cavallo di battaglia. Ma da li in poi, mi sono d'un tratto reso conto che tutto questo era come stare "in altalena".
Un momento esaltante di gioia esteriore faceva necessariamente da contraltare al momento di disperata depressione che sarebbe di sicuro arrivato di li a poco.

Così è cominciata la mia ricerca.
Ricerca che mi ha portato negli anni a conoscere (come ho detto) molte persone, alcune interessanti, altre decisamente meno.
E altre ancora (per fortuna o chissà, forse perché in quel momento me lo meritavo) assolutamente straordinarie. Dei "paradossi viventi".
Persone dotate di un senso dell'umorismo fuori dal comune e delle quali si poteva dire che avessero indifferentemente quindici anni come settanta; che sembravano vivere fuori dal mondo, ma allo stesso tempo erano estremamente presenti.

Anche se questi ultimi posso contarli sulle dita di una mano (so già che vi starete chiedendo di chi parlo e allora, giusto per citarne uno - anche se non il più importante nella mia vita, è comunque l'ultimo in ordine di tempo e sicuramente il più conosciuto - posso nominare Alejandro Jodorowsky), mi hanno influenzato quasi senza dire nulla.
Certo ho parlato con loro, spesso a lungo, ma senza imporsi in alcun modo e senza darmi consigli di sorta, mi hanno comunque aiutato a "camminare da solo", mi hanno dato l'esempio di come sia possibile "fermarsi" per riuscire finalmente a guardarsi in terza persona.
E questa "fermata" a cui alludo non è una cosa fisica.
O meglio, può anche essere fisica, ma non è comunque la cosa che conta. Si può avere anche lavorando o facendo l'amore (anzi, in quest'ultimo caso forse è decisamente meglio, anche se bisogna dire che è assai più difficile arrivarci). :P

E' il "qui e ora" di cui vado cianciando dall'inizio di questo thread.
Quello che sarò fra un attimo ancora non esiste; quello che sono stato non esiste più.
"L'esperienza del non-essere" in fondo è la cosa più facile del mondo. Ma proprio per questo è la più difficile di tutte.
Spesso ci si illude di poterla raggiungere solo con l'intelletto, e la nostra mente (che mente) ci dice "se lo sono già, allora non devo fare nulla che non faccia già", e ci si bea del nostro "stare in mezzo"; ma non ci si rende conto che non è un vero equilibrio lo "stare in bilico", e si rimane immersi fino al collo nel luogo comune (che come si sa, è sempre il più affollato). :D

Finché esiste un "io" un "me" e un "mio", è comunque ancora un "è", non un "non-è".
Quando "non-è" non ci sono risposte perché non esistono domande.
O meglio, per dirla con le parole di un "uomo straordinario", che purtroppo non ho avuto il piacere di conoscere personalmente, ma che è comunque ben presente nella mia vita (se vi interessa sapere chi fosse, scrissi tempo fa qualcosa su di lui in questo post):
"Qualunque risposta esiste prima di ogni domanda. E' il procedimento inverso che crea la condizione umana."

Insomma, quando abbiamo "l'esperienza del non-essere" (continuando ad usare questo splendido concetto, coniato per l'occasione dalla graziosa alice) si riesce a comprendere (e senza alcuno sforzo) quel detto che recita:
"Il diavolo si nutre dello spazio tra il pensiero e l'azione".
Non so come spiegarlo in altro modo.
^_^
 
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lorelei57
view post Posted on 30/7/2009, 23:17




L'hai spiegato benissimo, ora mi è tutto molto chiaro.
Mi era sorto il dubbio che tu stessi parlando di cose molto lontane dalla realtà spicciola a cui facevo riferimento io!
La tua "esperienza" non ha molti paragoni, anche se conosco una persona che ha "cercato" di uscire da quello stato altalenante che la stava portando, anzi ci era già riuscita,a toccare il fondo. Ma non è riuscita ad arrivare sino alla fine (o all'inizio di una fine) come pare sia arrivato tu.

CITAZIONE
Però (metto subito le mani avanti) se in qualche punto potrò sembrarti "fumoso" non è per atteggiarmi o per fare il misterioso a tutti i costi, ma perché alcune esperienze sono realmente impossibili da descrivere.

Lo immagino! Ma ci sei riuscito. In grandissima parte ci sei riuscito.
Grazie. Ora che ho tempo rifletterò!

Al contrario di molte persone io al sole rifletto e non mi s'infiamma il cervello :B): Riesco ad estraniarmi dal movimento che ho intorno ed a pensare.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/8/2009, 19:21




mi permetto di dare un titolo al mio intervento.
Mi concedo uno strappo alla regola, visto che si tratta di un felice (per me) ritorno in patria ;). Questo mio discorso sarà di tipo inaugurale diciamo.
Il titolo che darei al mio intervento, con chiaro spirito polemico, è: come se kant non fosse mai esistito.

l'assunto di base è assai allettante:

CITAZIONE
"L'Esperienza serve quanto il Pettine a un Calvo"

Kant ci ha insegnato a distinguere intelletto e ragione. la distinzione kantiana non è un pleonastico giuoco di prestigio. è frutto di una ben precisa necessità: la necessità di individuare piani del sapere.
del resto, poiché non è raro che il filosofo interrogante applichi errori metodologici, kant dichiare illegittime le domande che scaturiscono dai suddetti errori.
l'illegittimità di questa domanda è detta: "parvenza trascendentale".
è parvenza trascendentale cioè chiedere al fisico newtoniano come si spiega la libertà, perchè l'orizzonte di senso della libertà non rientra nel regno dei fenomeni.
Kant del resto tratta la libertà nella critica della ragion pura se non come tema marginale, poichè la prima critica risponde alla domanda: cosa posso conoscere?
nella domanda è pertanto presupposto che una conoscenza sia "possibile".
che una conoscenza sia possibile significa che l'oggetto non solo si da, ma anche che l'essere-oggetto dell'oggetto è una possibilità del darsi dell'oggetto che si da.
o per meglio dire: poiché l'oggetto è pensato come "essente", è allora possibile che sia oggetto di ricerca.
in quanto essente, esso è cosa in-sé.
in quanto pensato, esso è cosa per noi.
il rapporto tra in-sé e per-noi è un problema essenziale ai fini della conoscenza.
Del pari, l'essere-oggetto dell'oggetto non-è perciò stesso l'oggetto come tale.
l'essere-oggetto dell'oggetto è una possibilità, la possibilità che qualcosa si dia come oggetto di sapere.
Se ciò pare lecito, allora è perfettamente fondata la conseguenza che si trae: bisogna tracciare i "limiti" dell'esperienza.
bisogna cioè distinguere, in seno a qualcosa che mi si da, gli orizzonti entro cui questa datità è esperienza oppure no.
Si può anche, non certo senza imbarazzo per chi scrive, distinguere una esperienza scientifica da una esperienza pre-ed-extra-scientifica.
tale terminologia però per me è da superare. nel dire "esperienza scientifica" o "esperienza pre-scientifica", in quanto il discorso sull'essere-oggetto dell'oggetto mira ad individuare le condizioni di possibilità di una scienza in generale, l'esperienza è un punto d'arrivo e la distinzione tra esperienza scientifica e pre-scientifica è ancora da guadagnare. trattasi cioè un discorso cioè di tipo "iniziatico", l'inizio di ogni sapere possibile (che solleva daccapo la perplessità: è pure questo discorso un sapere?).
Le questioni invece che ineriscono all'esperienza scientifica e pre-ed-extra-scientifica sono per così dire discorsi ulteriori, che richiedono delle sintesi preliminari che solo un discorso che parta da zero può fornire.
Esporre cioè il senso che questo mondo ha per noi prima di ogni considerazione filosofica e scientifica in generale è ciò che inerisce alle condizioni di possibilità del sapere, o se preferite, visto che sto citando la conclusione delle Meditazioni Cartesione del caro zio Ed, le condizioni generali di fenomenicità, e quindi di una filosofia fenomenologica autenticamente trascendentale.
Del pari, un dato, una esperienza intesa come hinc e nunc, come ricordo ecc, sono sempre modificazioni fenomenologiche che presuppongono i vissuti di coscienza (Nota bene, da oggi il concetto di coscienza chi scrive lo distingue dal controverso e problematco concetto di Io, di Ego), che presuppongono da una parte la dadità di qualcosa, dall'altra la recettività del cogito indagatore (il termine recettività non implica per nulla che il cogito indagatore sia mera passività, ma che abbia una sua attività legislativa è discussione che non interessa adesso) e la correlatività in cui cogito e cogitato si incontrano e si scontrano.
modificando, privilegiando certe prospettive piuttosto che altre, si sta, senza dubbio, ponendo in luce un aspetto, ma anche escludendone altri. Così il fisico newtoniano che così bene descrisse il cielo stellato sotto il quale kant conobbe la commozione, non ha alcun interesse a fare "esperimenti scientifici", "esperienza scientifica" di un cielo che si da come ricordo, come oggetto di una photo, come lo sfondo di una notte di mezza estate.
Così il fulmine che dipingo sui muri della mia stanza, non è nulla di scientificamente esperibile e verificabile. esso, al più, potrà essere considerato come oggetto di una chimica dei materiali, di una tecnologia dei materiali ecc.
Considerazioni di tal guisa omettono però la possibilità del sapere puramente inteso come tale, poichè riconoscono alla parzialità del proprio punto di vista l'unica legittimità scientifica.
così, la possibilità che qualcosa si dia come oggetto del sapere viene soppiantata e surclassata da un oggetto (che non è più qualcosa), ma è solo il suo esser oggetto, una formula ecc.
Il bacio che si scambiano 2 amanti è solo uno scambio di microparticelle.
ma non è forse questa una esperienza?
Possiamo negare l'evidenza del batticuore? possiamo negare l'evideza del timore del "speriamo non ci becchi mia sorella"?
possiamo negare l'evidenza di quando poi dopo un bacio ci si sorride, magari un pò imbarazzati?
se è "hinc e nunc", non c'è problema, l'evidenza che si da, inconcussa e insurclassabile, è fittizia: infatti passa, passa, passa, il bacio l'ho già dato, gli effetti performativi di questo bacio non hanno più origine, poichè l'origine nel trapassare del tempo si perde. e la traccia, direbbe J. Derrida, di tanto ci mette in cammino verso l'origine di quanto essa l'occulta inevitabilmente.
Dobbiamo allora ricorrere all'esperienza come una miscellanea di considerazioni che si possono trovare sotto il titolo di "uso".
ma anche qui, come ha già messo in luce lo Heidegger di Essere e Tempo, il "si" ha luogo "senza pensarci", meccanicamente, a mò di automi. Heidegger nel far ciò è particolarmente brillante poichè radicalizza l'esperienza scientifica nell'esperienza pre-scientifica e questa nelle condizioni di possibilità generali di ente come il mondo. la mondanità della scienza allora implica che la scienza sia un aspetto dell'esistente, del Dasein.
tale aspetto, poichè particolare e non fondamentale, rende possibile allora il passaggio da una filosofia gnoseologica ad una filosofia ontologica, che taluni hanno chiamato "esistenzialismo", e che in heidegger hanno fatto precursore, iniziatore, talora maestro.
La svolta ontologica, che qui io descrivo senza prender parte, ha allora luogo proprio a partire dal nodo cruciale dell'esperienza.
Kant, come Husserl (in Ideen I), nell'iniziare la sua critica asseriva, quasi dogmaticamente: la conoscenza "inizia" con l'esperienza ma dall'esperienza non scaturisce.
Possiamo allora dire così: al calvo del pettine non importa nulla. importa però la cremina per la nuca...

Edited by EgoTrascendentale - 7/8/2009, 08:00
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 5/8/2009, 20:26




CITAZIONE
Secondo me l''esperienza del non-essere non può essere descritta.
Ma solo sperimentata.

anche questa è descrizione ;)
 
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ladyel
view post Posted on 17/8/2009, 20:39




CITAZIONE (EgoTrascendentale @ 5/8/2009, 20:21)
CITAZIONE
"L'Esperienza serve quanto il Pettine a un Calvo"

Se ciò pare lecito, allora è perfettamente fondata la conseguenza che si trae: bisogna tracciare i "limiti" dell'esperienza.
bisogna cioè distinguere, in seno a qualcosa che mi si da, gli orizzonti entro cui questa datità è esperienza oppure no.

Tracciare i limiti dell’esperienza….
Non è esperienza conoscere a cosa serve il pettine lo è prendere il pettine, di cui si conosce la sua funzione principale, e utilizzarlo per pettinarci. L’azione in questo caso è l’esperienza che sto facendo qui e ora ma è la stessa che ricorderò quando riprendendo in mano il pettine e mi chiederò: e ora che faccio?

 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 27/8/2009, 20:27




non ho capito lady...
 
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ladyel
view post Posted on 27/8/2009, 20:59




si lo so... con l'esperienza mi sto ingarbugliando... -_-

 
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lorelei57
view post Posted on 27/8/2009, 21:57




CITAZIONE
CITAZIONE (EgoTrascendentale @ 5/8/2009, 20:21)"L'Esperienza serve quanto il Pettine a un Calvo"

Se ciò pare lecito, allora è perfettamente fondata la conseguenza che si trae: bisogna tracciare i "limiti" dell'esperienza.
bisogna cioè distinguere, in seno a qualcosa che mi si da, gli orizzonti entro cui questa datità è esperienza oppure no.

Io penso di aver capito cosa intende Ego, però se scrivo una stupidaggine ed ho compreso altro, ditemelo per cortesia.

Ciò che qui viene affermato e ciò che dissi io molti passi fa riguardo all'esperienza. Non ricordo in che punto e non tornerò a cercare...ma l'esperienza di cui parlo io non ha niente a che vedere con ciò che si è acquisito nel tempo, che tutti posseggono. Conosco il pettine, so a cosa serve perchè l'ho usato, poi che io lo usi o meno,non importa, lo conosco e conosco la sua funzione.

Ci sono invece esperienze diverse, soggettive e qui rientra anche "l'esperienza" che ci raccontò Dr. M!
 
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reiniku
view post Posted on 28/8/2009, 10:56




Certo che questa discussione la dice lunga sul grado di alienazione di noi contemporanei! (un bel grazie a Cartesio per questo!)
Ci si domanda cos'è l'esperienza?
Sveglia! E' quella cosa che stai facendo anche adesso!
Siamo interamente immersi nell'esperienza! :D

L'esperienza è essenzialmente una relazione con il Mondo e per mondo intendo dire praticamente tutto quello che c'è al di fuori della coscienza...anche la coscienza non è in fondo separata totalmente dal mondo!

Anche quando non si hanno apparenti relazioni esterne, si è sempre in relazione con il mondo, con l'altro.
Anche l'assenza di esperienza è un'esperienza.

Certo, penso anche ci siano esperienze più compiute di altre.
Intendo l'esperienza in senso fortemente hegeliano (se non erro, si suole descrivere La fenomenologia dello Spirito anche come la "scienza dell'esperienza della conscienza")

In senso hegeliano significa che l'esperienza è fondamentalmente un viaggio "fuori" da sè (sè=coscienza), un Erfahrung, un allantonarsi, anche piuttosto traumantico perchè presuppone l'incontro con il "negativo" (una confutazione, ma solo apparente, di quello che si credeva fosse verità)
Questo viaggio si compie con il "ritorno" a se stessi. Ritorno con una verità più ricca.
 
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43 replies since 25/7/2009, 04:07   892 views
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