La cosa, l'idea, lo spazio

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alice_w
view post Posted on 21/4/2010, 19:59




CITAZIONE
Specifico anche una cosa: la durata pura non è tanto definita dalla sua non-quantificabilità, ma dal fatto (più generale) che c'è un cambio di natura ad ogni divisione (è questo il problema dello zucchero: il suo divenire è qualitativo non quantitativo, le molecole vengono dopo).

A questo una nota la inserisco, sebbene sia d'accordo con quanto scrivi. Certamente siamo di fronte a un divenire qualitativo, ma proprio perchè inestesa la durata è indivisibile pur essendo eterogenea (per questo bergson facccio fatica a comprenderlo) e il cambio di natura da origine a una "originalità", un istante mai identico a quello precedente, ma che purtuttavia compenetra quello che lo precede e quello che lo seguirà. Sicchè ogni istante presente è pregno di ciò che è stato e ciò che sarà, nel suo (continuo) fluire. L'acqua zuccherata (fisica, divisibile, quantificabile, estesa, rappresentata) è la traccia presente del ricordo dell'origine di uno sciogliersi, di un fluire, lo scorrere di un comprenetrarsi, di un mescolarsi che origina una nuova realtà, memoria della precedente, già proiezione del suo futuro e che ora che ne parlo è già ricordo in questo attimo già obliato da quello che è.
La durata pura -( intuita ) - non è la successione di stati o nature, è il succedere, che puoi solo intuire, della (di ogni) successione - il fluire del flusso.

Edited by alice_w - 21/4/2010, 21:31
 
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Sgubonius
view post Posted on 21/4/2010, 23:01




CITAZIONE (alice_w @ 21/4/2010, 20:59)
un istante mai identico a quello precedente, ma che purtuttavia compenetra quello che lo precede e quello che lo seguirà. Sicchè ogni istante presente è pregno di ciò che è stato e ciò che sarà, nel suo (continuo) fluire. L'acqua zuccherata (fisica, divisibile, quantificabile, estesa, rappresentata) è la traccia presente del ricordo dell'origine di uno sciogliersi, di un fluire, lo scorrere di un comprenetrarsi, di un mescolarsi che origina una nuova realtà, memoria della precedente, già proiezione del suo futuro e che ora che ne parlo è già ricordo in questo attimo già obliato da quello che è.
La durata pura -( intuita ) - non è la successione di stati o nature, è il succedere, che puoi solo intuire, della (di ogni) successione - il fluire del flusso.

Contro-annoto (non finiremo mai temo!): è proprio l'istante puntuale, con un precedente e un successivo, che rende difficile pensare la durata. Ci sarebbe qui un discorso che ho sfiorato, quello che Derrida conduce in Marges su una nota di Essere e Tempo, riguardante il tempo come grammé (linea) che è a sua volta sintesi della negazione dello spazio, cioè dello stigmé (punto/istante in Aristotele è il "nun"). Per farla breve, pensare il tempo per istanti che si susseguono è pensare un tempo spazializzato (punto-linea), una quarta dimensione della materia. Qui Bergson critica Einstein. Come dici tu, prima c'è un evento, un divenire, prima ancora del compenetrarsi, il compenetrarsi è fra i vari divenire, è differenziale, è questione di diversi gradi di contrazione della durata pura.
Insomma non esiste proprio regime di somiglianza possibile all'interno della durata, la somiglianza è un derivato dello spazio e della rappresentazione, e presuppone a sua volta la durata come possibilità di confrontare. La durata è pura evoluzione creatrice, evento sempre nuovo perché intuita senza schemi, irriducibile a categorie (lo schematismo kantiano è tutto spaziale), non fissabile nemmeno in una quiddità come l'istante che permetta le sintesi analitiche o dialettiche a priori o posteriori che siano, e quindi nemmeno relazionabile con una memoria o immaginazione esterna che operi queste sintesi. La memoria è proprio già la materia e viceversa, senza quel punto-centro (istante, io, e tutto ciò che appartiene al regime della presenza e del presente) che distingue passato/futuro, soggetto/oggetto. Per questo la durata non è neanche solo un flusso di vissuto fenomenologico, è proprio una ontologia monistica a-rappresentativa.

PS: nella nota di Essere e Tempo per la verità mi pare che Heidegger infili anche Bergson nel computo dei pensatori del tempo spazializzato, anche se ora non ricordo di preciso. Ma è noto che Heidegger tendesse a fare tuttuno quando poteva, vedi con Nietzsche.
 
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EgoTrascendentale
view post Posted on 15/5/2010, 18:00




Con un ritardo immorale inizio a rispondere.
vorrei far notare che la cosidetta cosa non l'ha mai vista nessuno.
io vedo la faccia con un pallino al centro di un cubo.
ma io il cubo non lo vedo affatto, mi muovo (e fisicamente o con l'immaginazione) e "giro" il cubo, vedo così le altre facce.
ma il vedere per esempio non mi qualifica in nessun modo la sua consistenza.
così il tatto non può darmi il suo sapore.
eppure noi troviamo una sintesi (di tipo mentale? di tipo estetico?) per la quale otteniamo l'unità la cosa.
la cosa del resto, si può argomentare al contrario, ci viene consegnata secondo varie prospettive.
sarei tentato di dire che la sintesi è estetica ed io colgo l'unità secondo vicinanza.
ma questa considerazione è sbagliata: io infatti vedo il tavolo perchè c'è la luce del sole.
sarebbe come dire che l'unità del tavolo è data dal sole.
è senza dubbio vero che io il tavolo lo vedo perchè c'è la luce. allora, in generale, la luce del sole si pone come "condizione di possibilità" del visibile.
tuttavia però, in una stanza buia, io posso andare a sbattere contro il tavolo, fare rumore, farmi del male.
per questo la luce non aggiunge nulla ad alcune caratteristiche.
così il calore può alterare il sapore.
ogni aspetto è dunque pienamente autonomo.
e sta benedetta unità della cosa come si ha?
(spero di rispondere prima dell'estate :D)
 
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Sgubonius
view post Posted on 20/5/2010, 04:13




Solo domande da niente eh?? :lol:

L'unità (della cosa) non solo è una delle categorie kantiane (aggiungerei che è a sua volta la condizione di possibilità di qualcosa come una categoria), ma è anche uno dei temi circolanti da sempre nella storia della filosofia. La useranno gli idealisti proprio per superare Kant, l'avevano usata i neoplatonici per aggirare Aristotele, e indietro fino a Parmenide.

Non credo però che l'Uno di cui qualcosa partecipa (per usare il linguaggio plotiniano), diventando "una cosa", sia necessariamente il primo step ontologico e gnoseologico. Certo qui si entra sempre nel merito di quelle questioni fondamentali sullo spazio e sulle idee (le idee non sono unità in Platone?) e sul vero, cioè sulla "cosa in sé".

Tuttavia, come si evince anche rileggendo i post sopra, il tentativo della durata bergsoniana è proprio ideato per sfuggire a questo modo di pensare lo spazio come verità del punto e il tempo come addizione di istanti (punti temporali), quindi il molteplice come ripiegamento dell'uno (con chiare connotazioni morali, da Parmenide in poi, sul fatto che il moleplice sia illusione, falsità, transitorietà, copia/simulacro). Se quello che conta è sempre la durata, il durare, l'essere (diciamo il divenire!) più che singolo e più che limitato in un punto, allora il molteplice ha una priorità (gnoseologica e ontologica) sull'Uno che è solo il velo alla superficie.

Il punto di vista della sintesi (sia essa kantiana, hegeliana o fenomenlogica) è sempre un punto di vista che parte dagli Uni e usa i molteplici come pezzi di lego per arrivare ad un Unità inclusiva. La durata è invece direttamente il processo (di sintesi, ma non si può più usare un composto il syn+thithemi perché non c'è nulla di autonomo già prima che venga come assemblato) come prima cosa, è Eraclito per banalizzare molto 2500 anni di pensiero. Il pyr, che è anche logos, non è la luce come mezzo della vista né la repulsione fra elettroni che ti permette il tatto, ma è un tempo-aiòn-durata che è la sostanza stessa della cosa molteplice che si sottrae di continuo all'Uno sintetico. I 5 sensi sono solo delle "macchine" (linguaggio deleuziano qui) che spezzettano un flusso e lo "codificano" in un certo modo, ma un codice diverso non è una differenza ontologica nel flusso stesso (in molte teorie estetiche sembra quasi che esistano 5 nature ontologiche che si fondono in una sintesi cerebrale di coscienza, siamo sempre nel campo dei postumi dell'ossessione per l'Uno).

A quest'estate allora!! :P
 
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alice_w
view post Posted on 9/6/2010, 00:38




CITAZIONE
I 5 sensi sono solo delle "macchine" (linguaggio deleuziano qui) che spezzettano un flusso e lo "codificano"

ma in base alla tua spiegazione non sono anch'essi, a loro volta, flussi?
 
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Sgubonius
view post Posted on 11/6/2010, 00:27




CITAZIONE (alice_w @ 9/6/2010, 01:38)
ma in base alla tua spiegazione non sono anch'essi, a loro volta, flussi?

Sì. Un flusso spezzetta un altro flusso, una macchina agisce su altre macchine, una macchina è una sorta di flusso ciclico richiuso su se stesso (l'ingranaggio distribuisce ciclicamente una serie di forze tangenti per ogni dentello per esempio).
E' più semplice forse pensare le cose come un linguaggio/scrittura in cui è il linguaggio stesso a intervenire su se stesso (non so si potrebbe immaginare come lavora un linguaggio di programmazione).
 
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alice_w
view post Posted on 21/6/2010, 08:11




Capito ^_^ . Ma anche questa prospettiva che proponi - a parer mio - non è esente dall'apprensione all'unità. (che credo sia più originaria dell'ossessione per l'Uno)
 
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Sgubonius
view post Posted on 26/6/2010, 16:23




CITAZIONE (alice_w @ 21/6/2010, 09:11)
Capito ^_^ . Ma anche questa prospettiva che proponi - a parer mio - non è esente dall'apprensione all'unità. (che credo sia più originaria dell'ossessione per l'Uno)

Diciamo che c'è una tendenza monistica, indubbiamente.
Però il monismo, quando non è monADismo, non prevede necessariamente l'Uno, può tranquillamente funzionare nel molteplice, o meglio ancora in una indifferenza dei due opposti (il moleplice, essendo ciò che non è Uno, prevederebbe sempre quel principio). Potrebbe non trattarsi quindi nemmeno di unità (se l'unità è l'essere-Uno di qualcosa), ma piuttosto parlerei di "consistenza", di "immanenza", di "effettualità".

Riprendo rapidamente l'esempio del linguaggio, che è fondamentale (in Heidegger, Lacan e Derrida soprattutto, ma anche nel Deleuze della logica del senso). "Un" linguaggio non è realmente Uno, non ha dei limiti schematici (come quelli del Tractatus) che possano decidere dove inizia la parola e dove finisce la cosa (vedi Foucault), dove comincia il significato e termina il significante. E' piuttosto un Tutto (la parte da sola, il singolo fonema o la singola parola, non serve e non è nulla, contano solo l'intero sistema di relazioni) non unitario, senza padroni e senza regole a priori (senza fini, senza scopi, senza categorie prime, senza trascendenze insomma, quindi non è un Tutto hegeliano), in cui gli effetti (l'effettualità di prima) emergono alla superficie e a posteriori come prodotti della consistenza immanente del magma significante. Tanto che nel linguaggio si può fare a meno del principio di identità e della partecipazione dell'idea di Uno, con frasi come: "piove" (in tedesco sarebbe "es regnet", grammaticalmente analoga è la formuletta di Nietzsche "es denkt", dove quindi il pensiero stesso, il nous neoplatonico, è un impersonale, fortuito e magmatico, e non una ipostasi dell'Uno). Egualmente l'allocazione delle "unità" (il tavolo, la sedia) sono questioni linguistiche ed effetti posteriori del suo in-formare il mondo. Gli stoici già si domandavano quando esattamente (alla caduta di quale capello) si diventa "calvi", o quando (all'aggiunta di quale granello) inizia "un mucchio", e magari in lingue diverse i confini non coincidono (spesso si fa l'esempio banale degli eschimesi che hanno 40 parole per 40 gradazioni di bianco, quando per noi tutti i bianchi sono UN bianco).

In poche parole l'unità diventa solo una istanza di connessione, di consistenza effettuale e di funzionamento, e in generale qualcosa che aggiungiamo noi a posteriori, vedendo l'effetto, senza alcuna priorità trascendente. Questa mi sembra è la questione.
 
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alice_w
view post Posted on 27/11/2010, 22:42




CITAZIONE
o quando (all'aggiunta di quale granello) inizia "un mucchio"

solo ora riesco a risponderti.
il quando inizia un mucchio non è questione di quantità (aggiungere o togliere elementi), ma è questione di come gli elementi sono disposti.
un mucchio inizia nell'istante in cui mi trovo dinnanzi a una particolare disposizione di elementi.
 
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Sgubonius
view post Posted on 28/11/2010, 04:10




CITAZIONE (alice_w @ 27/11/2010, 22:42) 
solo ora riesco a risponderti.
il quando inizia un mucchio non è questione di quantità (aggiungere o togliere elementi), ma è questione di come gli elementi sono disposti.
un mucchio inizia nell'istante in cui mi trovo dinnanzi a una particolare disposizione di elementi.

Probabilmente la distinzione stessa fra quantità e qualità non è così significativa (è in definitiva uno dei vecchi retaggi del dualismo aristotelici di materia e forma, esistenza ed essenza, ecc), la disposizione è invece un problema interessante, ma bisogna considerare davvero come svincolare un pensiero della disposizione dal modello degli atomi nello spazio.
Nello specifico e riprendendo a distanza di mesi la questione di prima a cui ho ridato una scorsa, la disposizione diventa una vera logica nuova (monistica ma senza l'Uno come si diceva sopra, diciamo anche in cui l'Uno è proprio l'unico trascendente-assente che permette di considerare monisticamente tutto il resto) soltanto a condizione di pensare veramente in termini "differenziali" (e ben oltre il significato matematico della parola, ma la direzione è indicativa). Tutto il pensiero della Differenza parte da queste premesse per riaffondare i denti nei paradossi che alimentano i dualismi da sempre (in primis quello del Parmenide platonico).

"Un" mucchio, per tornare all'esempio, inizia in maniera "eventuale", cioè si produce, si effettua alla superficie del lavoro differenziale sottostante (parliamo di disposizione ma ancora a condizione di metterla in moto, parliamo magari di dynamis, di Potenza, tendendo una mano a Spinoza e Nietzsche o si pensi alla durata di Bergson). L'evento è propriamente (già nell'Ereignis di Heidegger) lo svelarsi dell'Uno ("Essere-Seyn") attraverso il contorno (radura-Lichtung) di ciò che non lo è (enti). Discorso analogo si può fare della Sostanza unica spinoziana con i suoi molteplici (ma per noi sempre finiti e inesaustivi) attributi. Ma ora è un Uno che ha un rapporto completamente differente da quello platonico e neoplatonico di in-formatore absconditus dell'universo, è piuttosto quel puro aleggiare fantasmatico e sempre problematico (in Deleuze il "problema" è quello che qui abbiamo chiamato disposizione) del senso come unificante mai completo. In Heidegger infatti si parla sempre di "problema dell'Essere". L'esempio del mucchio ripropone continuamente questo problema inesauribile per definizione, perché ripropone sempre l'evenienza del Senso (vedi anche il Fallo di Lacan) in tutta la sua fragilità e oscurità. Ultimo riferimento: quando Nietzsche agli albori parlava di apollineo e dionisiaco non aveva in mente molto altro che questo. Il mucchio è la cristallizzazione apollinea di un movimento caotico dionisiaco, ne è l'espressione, la condizione di possibilità. Tutto ciò che non è scontato nel nostro campo d'esperienza ha questa struttura del "mucchio", e quindi questo pathos tragico.
 
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alice_w
view post Posted on 13/12/2010, 21:21




Grazie e mille per la risposta.
CITAZIONE
L'esempio del mucchio ripropone continuamente questo problema inesauribile per definizione, perché ripropone sempre l'evenienza del Senso (vedi anche il Fallo di Lacan) in tutta la sua fragilità e oscurità.

Già, perchè se guardo fuori dalla finestra pur forse vedendo, in realtà, un mucchio di macchie scure nella notte, me lo racconto come fosse un albero spoglio.
 
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Sgubonius
view post Posted on 18/12/2010, 14:52




CITAZIONE (alice_w @ 13/12/2010, 21:21) 
Già, perchè se guardo fuori dalla finestra pur forse vedendo, in realtà, un mucchio di macchie scure nella notte, me lo racconto come fosse un albero spoglio.

In fondo basta ribaltare la logica (del senso) tradizionale. Lì non c'è un albero (e prima ancora una idea di albero) che il sensibile sfoca più o meno come la notte (sempre simbolo della doxa), mentre la luce (sempre simbolicamente veicolo dell'idea e della trasmissione nell'intelletto) rivela. "Si danno" (2 post sopra trovi il discorso sulla forma grammaticale "es gibt" o "es regnet" o "es denkt") delle macchie, dei mucchi, che pongono al cervello il problema della rappresentazione (della ri-presentazione), e la logica del senso risponde a questo problema in maniera eventuale facendo emergere un senso (che non è più l'idea rappresentativa di albero, ma è un divenire, un verbo, un verdeggiare delle foglie o un albereggiare (!) dell'albero). La storia della pittura da fine 800 in avanti racconta come rappresentare ciò che non è modello ideale ma divenire se stessa della cosa. In Cézanne per esempio l'albero, le mele, la montagna; in Van Gogh (mi pare che era già stato citato sopra) il gialleggiare del sole e dei campi emerge sopra la forma e la modella (anziché l'opposto, come in un Raffaello)...
 
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alice_w
view post Posted on 19/12/2010, 21:48




CITAZIONE
"Si danno" (2 post sopra trovi il discorso sulla forma grammaticale "es gibt" o "es regnet" o "es denkt") delle macchie, dei mucchi

Il punto problematico credo per me sia il passaggio dalle macchie, dal mucchio alla cosa. Insomma quello che mi domando è: quando e perchè questo mucchio diventa cosa.
(devo dire di essermi parecchio arenata su deleuze e, nel mio piccolo sono rimasta un po' indietro, mi ritrovo sempre con i problemi dell'empirismo, ma risponderò in maniera articolata su questa famigerata cosa e sulla ri-presentazione)




 
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Sgubonius
view post Posted on 21/12/2010, 14:25




CITAZIONE (alice_w @ 19/12/2010, 21:48) 
Il punto problematico credo per me sia il passaggio dalle macchie, dal mucchio alla cosa. Insomma quello che mi domando è: quando e perchè questo mucchio diventa cosa.
(devo dire di essermi parecchio arenata su deleuze e, nel mio piccolo sono rimasta un po' indietro, mi ritrovo sempre con i problemi dell'empirismo, ma risponderò in maniera articolata su questa famigerata cosa e sulla ri-presentazione)

Non c'è passaggio (c'è se pensi la cosa in modo hegeliano, nella Logica per esempio l'esempio del mucchio e della calvizie si presenta ancora nel primo libro, quello sull'Essere, mentre le "cose" potrebbero emergere solo con sufficiente ragion d'essere dopo tutta la trattazioen dell'essenza e l'affacciarsi del concetto). Ogni cosa, intesa invece fuori dalla quadriplice radice del principio di ragion sufficiente (ratio essendi, ratio cognoscendi, ratio fiendi e ratio agendi), sussiste in verità secondo la logica sempre problematica del mucchio. In qualche modo si può seguire qui il percorso dal dualismo di Schopenhauer (volontà come noumeno e cosa in sé, mentre le "cose" sono però in quanto rappresentazione sotto la quadruplice radice della ragion sufficiente) portandolo però fino al monismo di Nietzsche, cioè fino all'idea che esista solo una cosa chiamata "volontà di potenza" che si esprime ANCHE nella forma razionale degli oggetti della conoscenza che sussistono costanti secondo certi limiti figurativi (imposti è evidente prospetticamente dal "soggetto") cioè certe semplificazioni necessarie al vivente (fra cui la rimozione delle differenze di grado "continue" a favore di blocchi "discreti" più maneggevoli, da cui anche tutta la questione heideggeriana della tecnica). Il cogito stesso può essere pensato prima dell'autocoscienza come un "mucchio" problematico che la "volontà di potenza" (l'Es delle frasi di prima) avrebbe risolto (la parola non è scelta a caso, dovrebbe portarsi dietro qualche eco hegeliana) in una unità, come fa si fa con l'integrale in matematica.

Il problema secondo me è alla radice quello dell'Uno.

Edited by Sgubonius - 21/12/2010, 18:35
 
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alice_w
view post Posted on 21/12/2010, 22:21




CITAZIONE
Non c'è passaggio (c'è se pensi la cosa in modo

Dunque è possibile che il passaggio da un mucchio alla cosa sia dato dal modo di pensare la cosa.
Al di là di questo, comunque ripensando a quello che ho scritto in precedenza, ho forse dato per scontato che un mucchio non sia una cosa o, perlomeno, (caspita mi verrebbe da dire sia un'altra cosa) che tra essi vi sia una differenza.
Be', appena ce la fo', ritorno.

Edited by alice_w - 21/12/2010, 22:40
 
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