Ci sono delle analogie con Spinoza, ma credo siano solo affinità etiche (che peraltro sono comuni a molte filosofie). Poi giuseppe ti saprà dire, comunque tutti i filosofemi hanno implicazioni anche pratiche, anche se magari non è immediata la connessione, e spesso non sono "legislative" (restano in un certo campo individuale del pensatore).
Riguardo la "generalità" capisco che è ambigua, l'ho detto prima, non intendo con essa solo il genere aristotelico, ma tutto un sistema di "ripartizione" dell'essere. Se io dico che l'essere è la totalità degli enti, io dico che l'essere è l'essere degli enti, è un ente insomma, l'ente più generale. La questione della differenza ontologica nasce qui, nello strappare l'essere agli enti, nel renderlo veramente assoluto, cioè totalmente "Altro". Come puoi parlare di "assoluto" se l'essere è solo un ente fra gli altri, che si distingue per la sua totalità (ecco quindi che c'è una differenza di "genere" fra i due)?
Questo intendo con regime della "generalità": che siamo sempre ficcati dentro una concezione statica e distributiva dell'essere che dimentica ogni differenza (dimenticando quella ontologica che sta alla base). Farla finita con le analogie, le somiglianze, le categorie: ecco l'unica differenza ontologica.
Stessa cosa per l'eternità. Mi viene in mente qui la critica di Heidegger all'eterno ritorno di Nietzsche. Ma mentre essa è del tutto in malafede se applicata alla sfuggevolezza del concetto nietzschiano, si può riciclare benissimo in questo caso. Includere un cambiamento in una eternità è quello che Nietzsche chiamava: "Imprimere l'essere al divenire". Mi pare un'ottima forumula anche per la nostra questione, e allora si gioca tutta la partita in una interpretazione di questo ritornare e di questa eternità. Dicevamo all'inizio: un certo rapporto movimento-sfondo immobile.
A cosa mai può portare questa eternità? Heidegger risponde: all'ennesima e più potente dominazione dell'uomo nichilista sul mondo dell'ente, ovvero l'estrema dimenticanza dell'essere (che è evidentemente totalmente altro e del tutto inafferrabile), dimenticanza della Differenza.
La farò breve: che cosa si è perso? Si è perso un certo rapporto col mancare, con l'ignoranza, col mistero, col velamento che solo può produrre una Lichtung (per una radura ci voglio ben degli alberi intorno). Non si può cambiare niente, le cose cambiano necessariamente e secondo il loro eterno ritorno, su questo non sarò io a criticarti, ma rimane quello che Bergson chiamava l'intervallo del centro di indeterminazione, quell'après coup che fa sì che l'uomo debba ancora recitare se stesso, la Differenza. Che le cose siano eterne in poche parole si ribalta del tutto e diventa una estrema selezione per il vivente che si trovi faccia a faccia con questo pensiero: bisogna riuscire a strappare una Differenza che sia anch'essa eterna, bisogna fare la differenza ongi volta, ogni ritorno. L'eterno ritorno è il pensiero più duro e sconvolgente, perché esserne all'altezza è reinventare (da artisti) se stessi, continuamente, perché tutto è eterno tranne quel piccolo intervallo che siamo (che non-siamo si dovrebbe dire, perchè è sempre un mancare, non negativo, ma problematico).
Ho cercato di essere stringato, a scapito della chiarezza purtroppo. Ma sono sempre a disposizione. Riguardo alle "tue derivazioni" banalmente intendevo dire che se hai tralasciato qualcosa per concisione di aggiungerla al calderone!