La differenza ontologica

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GiuseppeMP
view post Posted on 3/11/2009, 19:58




Espongo questo scritto su invito di Ego.

"Totalità assoluta dell'essere" (sia P) significa che se essa è il soggetto non può convenirle un predicato che dica il "non esser (ad esempio) x", perché altrimenti essa non sarebbe P, ma una parte o la totalità finita (astratta, figurale, parziale) di P. A meno che di essa non si dica che "non è il nulla".

Ciò posto, qualsiasi ente si mostri è necessario che si mostri P; giacché ieri, oggi e domani appare qualcosa, e questo qualcosa è innanzitutto P. Che poi appaia anche altro (G), ciò non significa che P non appaia, ma che appare insieme a sé in quanto formalmente in luce e cioé come parte (anche se è quella parte che è la totalità finita di P).

Qui, ora, appare tutto l'essere? Si risponde di no; eppure è necessario che tutto l'essere appaia sempre e dappertutto, in base alla necessità che della totalità non si dica che "non è qualcosa (ad esempio queste foglie)". Le distinzioni che appaiono sono allora le distinzioni di P : appare sempre un distinguersi, e appare sempre P : come conciliare queste due affermazioni?

Ciò che "non appare" è sempre una parte : una certa parte non appare in una cert'altra parte; ciò significa che l'apparire non è soltanto apparire parziale, ma anche apparire totale. Esistono due modi fondamentali di apparire : quello concreto e quello astratto. Ma il punto è che non appare prima uno e poi l'altro, oppure dal lato A uno e dal lato B l'altro : appaiono come uno contenente l'altro : appare il concreto contenente l'astratto : appare sempre la differenza ontologica.

Il concreto è tale in quanto contiene l'astratto, giacché se non appare l'astratto non può apparire il concreto. La contraddizione dialettica può apparire, dunque, solo se appare il suo essere contenuta dal superamento della stessa; solo che tale superamento è un apparire che si distingue da quello che mostra soltanto una parte di P. E se tale superamento non apparisse sempre sarebbe un che di impossibile da vedere, perché impossibile è che venga ad aggiungersi nell'apparire parziale. (Non può venire ad aggiungersi nell'apparire parziale appunto perché esso è apparire totale).
 
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Sgubonius
view post Posted on 3/11/2009, 23:05




Si è abbastanza chiaro, purtroppo usi il linguaggio filosofico in modo un po' strano ed è difficile seguire i ragionamenti se si è abituati ad attribuire altri significati alle parole (mi riferisco soprattutto alla volontà di potenza, alla differenza ontologica e simili).

Un punto però è focale nella tua trattazione: l'inizio. Tu dici che a P non si può attribuire per negazione che il nulla, ma su questo sorgono dei problemi. Intanto bisogna capire come possa esistere il nulla di fronte a questa totalità assoluta, poi bisogna capire come distinguere il nulla dalla totalità se viene a mancare l'elemento delle distinzioni che è tipico delle parzialità.

Su questi problemi c'è tutta la storia della filosofia che ci batte la strada, sono vecchi concetti e vecchi problemi. In un sistema del genere il nulla e l'essere devono in qualche maniera coincidere, oppure il nulla deve essere solo l'apparenza transitoria, il che non ha molto senso, in ogni caso dell'essere pieno non si deve poter predicare nulla, perchè ogni determinazione di esso sarebbe già una negazione (limitazione d'essenza ecc). P deve rimanere inneffabile, ergo definibile SOLO per negazione, ergo un nulla (tutta la questione della teologia negativa a braccetto con un certo panteismo).

Bisogna capire sempre cosa sia la totalità... e quale sia la sua priorità ontologica. Io sarei molto scettico a riguardo per esempio, favorendo anzi ciò che manca, ciò che differisce.
 
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GiuseppeMP
view post Posted on 4/11/2009, 15:51




No forse non mi sono spiegato bene, e me ne scuso.
P è la totalità degli enti, ossia di ciò che eternamente si oppone al nulla, che non è "qualcosa". Poi ci sarebbe da spiegare tutta l'analisi relativa all'aporia del "nulla-che-è"...Il nulla "è" nel senso che la sua insignificanza totale è positivamente significante all'interno dell'essere : cioé l'essere include il nulla come negato : se infatti non lo includesse come negato resterebbe aperta la possibilità che dell'essere si possa dire che non è l'essere, cioé che è nulla. Il positivo significare del nulla è lo stesso contenuto contraddittorio della volontà di potenza; quest'ultima vuole, ad esempio, che ci sia un luogo (o un tempo) in cui questo mio esser-io non sia più tale, giacché vuole l'impossibile, ossia il nulla; e in quanto questo nulla appare, è positivamente significante (come insignificante : questa è la contraddizione del nulla).
 
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Sgubonius
view post Posted on 5/11/2009, 04:21




No era chiarissimo anche prima, ma io penso che ci siano delle falle logiche (o meglio queste sono già obbiezioni mosse durante la storia della filosofia a concetti analoghi a P).

Il problema di un essere completo, totale, eternamente compiuto, è la sua esistenza ne (e il suo rapporto con) il divenire, ovvero con il nulla. Se ho capito bene, il rapporto che tu hai pensato è di natura più o meno dialettica, con una sintesi che sovrintende dall'alto del suo da-per-sempre un divenire solo apparente delle parzialità. Quando parli di positivamente insignificante e simili ricorda molto la potenza del negativo. Però capisco bene che l'hegelismo avrebbe poi dei momenti del tutto contrastanti (a partire dalla volontà per esempio, e di fatto il ruolo stesso del negativo ambiguamente negletto) con quanto dici. Per questo io credo che ci siano dei problemi di fluidità nel sistema.

Un esempio rapido sempre riguardo al nulla: potrebbe "esistere" (nel senso scolastico della parola) questa totalità senza il nulla, o quantomeno il concetto di nulla a cui essa si oppone? Chi ne postulerebbe o constaterebbe l'esistenza se non una parte del tutto? Questa parte non si riferisce al tutto per via negativa? In ultima analisi, come è possibile discernere qualcosa, compresa la totalità degli enti, senza un confine/limite/determinazione di sorta (perchè non vedo quale sia un limite tale da definire la totalità)? Tutto questo attiene al rapporto col negativo, alla sua costruttività, alla sua irriducibilità in rapporto all'apparire.

In altre parola: una cosa ferma non appare, noi percepiamo solo differenze e movimenti, mancanze. Mi interesserebbe comunque, per capire meglio lo sviluppo del tuo pensiero, conoscere i tuoi riferimenti filosofici principali, che fatico a recuperare in toto. Magari chiederti se conosci, visto che si parlava di Essere e Nulla, l'omonimo saggio di Sartre.
 
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GiuseppeMP
view post Posted on 5/11/2009, 10:33




Conosco tutta la storia della filosofia, filosofo per filosofo. Ma mi rifaccio a un filosofo contemporaneo, Emanuele Severino. Anche se cerco, col mio linguaggio, di sopperire ad alcune sue mancanze argomentative.
Tu dici che percepiamo solo differenze e movimenti. Ma è impossibile! Io innanzitutto non nego le differenze e il movimento, ma nego che le differenze siano isolate tra loro e che non siano eterne, e nego che il movimento sia l'annullamento di ciò che si muove. Poi, come dicevo, è impossibile che si mostri il movimento in assenza del non-movimento : si mostrano entrambi, insieme. L'apparire trascendentale è fermo rispetto all'apparire empirico che affiora e si ritrae da esso, come ogni ente cangiante.
Qualcosa succede, ossia "cede su" qualcosa "non succede", e che accoglie i nascenti e i morenti (ossia i divenienti). Se non ci fosse qualcosa di fermo, come potresti dire che qualcosa si muove? Ciò rispetto a cui qualcosa si muove è la fermezza dello scenario sempre acceso dell'apparire dell'essere.
 
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Sgubonius
view post Posted on 6/11/2009, 01:07




Si in effetti si poteva intuire, purtroppo non ho ancora avuto occasione di leggere Severino, conosco solo a grandi linee il suo pensiero. Credo comunque che non ci sia poi tanta distanza (se non terminologica) fra i concetti che opponiamo, e che quindi si tratta solo di fare chiarezza per ricavarne... la differenza!

Mi preme in particolare il rapporto scenario-movimento, che credo sia il punto veramente fondamentale di divergenza. Ho trovato questa argomentazione parallela alla tua in Heidegger (Tempo ed Essere mi pare): per vedere qualcosa muoversi è necessario che qualcosa di fermo faccia da riferimento. Vero, ma nella percezione. Se invece io prendo il movimento, o la Differenza, come antecedente e sintetizzante la percezione, le cose cambiano: il fermo è solo la ripetizione di una medesima differenza. La scienza (per quello che vale, qui presa solo come esemplificazione) considera l'occhio umano come recettore di frequenze luminose, se non ci fosse un raggio di luce che a velocità pressochè infinita aggiornasse di continuo l'occhio creando dei sistemi differenziali, la percezione non ci sarebbe: lo stesso dicasi degli altri sensi e del pensiero.
Un Evento (=accadimento, ma il termine Evento non è casuale) non è una semplice inerenza di predicato o analogo, è una costrizione a pensare o a percepire, è una individuazione, un tuono che esaurisce una differenza di potenziale, in ogni caso una forza. In Tempo ed Essere lo stesso Heidegger poi usa l'Ereignis per ricollegare i due concetti del titolo.

Tornando alla questione, è del tutto superfluo distinguere l'empirico dal trascendentale, o peggio ancora è l'ultimo errore della metafisica. L'Evento (Heidegger quantomeno è chiarissimo su questo e Derrida è ancor più radicale) è proprio la Lichtung che concede l'essere (al tempo, all'esserci), e non accade qualcosa sull'essere, ma piuttosto un certo genere di accadere stesso palesa l'apertura dell'Essere, e non si dà (es gibt) nulla fuor dell'evento. E' un gioco molto più profondo e sottile che Severino ha un po' trascurato.

Le differenze sono eterne se vogliamo dire così (sempre che la cosa abbia qualche importanza), ma hanno l'eternità dell'impersonalità e della preindividualità. Anzi dovremmo parlare di Differenza al singolare, perchè siamo in una ontologia (monistica) della Differenza ovvero siamo nella differenza ontologica, siamo nell'evento appropriante. Quindi certamente è fuori dal Tempo, come è "fuori" dall'Essere, perchè questi due si daranno solo a partire dalla Differenza che li connette. Ecco perchè tanto l'eternità dell'essere parmenideo, quanto il divenire eracliteo nel tempo stridono se considerati a comparti stagni. C'è ancora qualcosa nel mezzo.
 
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GiuseppeMP
view post Posted on 6/11/2009, 19:45




Per dire che Severino trascuri qualcosa bisogneresti prima aver letto le sue opere..

Per Severino gli eventi sono sempre presenti, e sono presenti come sopraggiungenti, all'infinito, nel cerchio finito dell'apparire.
L'empirico è necessario in quanto è la parte stessa che appare diveniente nella totalità finita dell'apparire.

Che poi ogni ente sia eterno è l'affermazione fondamentale, e non come dici tu "sempre che la cosa abbia qualche importanza". L'eternità degli enti si mostra sempre e anche qui, ora, perché essa è la necessità che gli enti siano identici a sé : il mare è il mare, la terra è la terra, e così via..Non appare che le cose non sono eterne, bensì le cose eterne affiorano in una certa conformazione dell'apparire e si congedano da essa. Anche se non tutto affiora (cioé nasce). Tutto ciò che nasce e muore (K) è presente in ciò che non nasce e non muore (B); sebbene sia K che B siano eterni.
 
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Sgubonius
view post Posted on 7/11/2009, 04:44




Io capisco benissimo il discorso di Severino, pur non avendolo letto direttamente mi interessai l'anno passato un pochetto del suo sistema, che poi mi piacerebbe approfondire (anzi se mi consigli un testo capitale mi aiuti!)

Ma proprio per questo sono scettico! :P

L'eternità delle "cose", come la intendi tu qui, è l'eternità del concetto, perchè non c'è una cosa-mare, c'è un concetto di mare che si attribuisce a un volume indefinito di sostanza in base a certe sintesi logiche o non. L'eternità però mi convince finchè è della sostanza, come in Spinoza, e si è eterni in quanto sostanza, ma non in quanto modi o attributi, non in quanto concetti.
Il concetto è sempre fabbricato, è sempre differenziale, è sempre un effetto, ecco questo sì è diveniente, gli enti sono sempre divenienti e temporalizzati perchè proiezioni dei concetti sull'essere, è l'essere che è identico a se stesso semmai (e se lo è lo è come Differenza). Ma non parlerei di eterno, io parlerei di fuori dal Tempo, perchè deve ancora sopraggiungere l'Evento che li congiunga.

La differenza ontologica così come l'hai definita tu è una falsa differenza, è soltanto la solita distinzione fra generale e particolare che ci meniamo dietro da Platone a Hegel. Per dare un valore affermativo e pieno a questa differenza bisogna assolutamente capire cosa sia l'Ereignis e distinguerlo dall'Evento come accadimento, bisogna assolutamente dare valore primigenio al movimento e alla differenza e distanza, e fare dell'eternità una potenza di questa differenza (l'eterno ritorno in Nietzsche, che mi pare abbia un ruolo anche nella filosofia di Severino, benchè se fosse sarebbe molto forzato).
L'essere non è la totalità degli enti, non è il generale, altrimenti l'essere diventa del tutto superfluo e il pensarlo è futile, come futile è pensare l'eternità, dato che essa non è potenza di una differenza. E' il solito istinto di morte che viene a galla alla maturazione di tutti i sistemi metafisici, stanchi delle maschere della tragoedia umana e intrisi di morale teleologica.
 
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GiuseppeMP
view post Posted on 7/11/2009, 10:11




Quello che credi sia il mio pensiero è altro dal mio pensiero (e da quello di Severino).

E' troppo facile disfarsi così di Severino, io ho letto quasi 30 sue opere e non bastano per capirlo fino in fondo. Per comprendere qualcosa di Severino dovresti leggerti almeno, in quest'ordine :

1) La struttura originaria
2) Studi di filosofia della prassi
3) Essenza del nichilismo
4) Destino della necessità
5) Oltre il linguaggio
6) Tautotes
7) La Gloria
8) Oltrepassare

Tutto è eterno. Significa che questa penna, ossia questo ente innegabilmente manifesto, e che nell'interpretazione dell'errore umano viene chiamato "penna", è identico a sé, ed è impossibile (contraddittorio) che non lo sia, cioé è un eterno. Non si tratta semplicemente delle essenze, ma di tutto ciò di cui si può affermare l'esistenza.
L'essere, poi, non è un genere, e la totalità degli enti è la dimensione eterna all'interno della quale soltanto può apparire il genere e la specie; ma essa non è il generale
 
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Sgubonius
view post Posted on 7/11/2009, 20:29




Ti ringrazio per le indicazioni, e ti invito ad esplicare anche le ulteriori tue derivazioni!

Tornando a noi:
Che differenza fa parlare di dimensione eterna o di genere (ci sono delle differenze concettuali certo, ma andiamo al sodo)? Un genere non è lo status eterno di una manifestazione? Intendendo qui con geenere il regime dell'analogia e della somiglianza che usufruisce dei generi e delle specie, e non nello specifico del genere (l'essere non è un genere beninteso, ma è sempre una generalità se non viene separato radicalmente dalla definizione "totalità degli enti" e da ogni definizione). Io capisco che c'è uno shift verso l'eternità della singola manifestazione ed esistenza (non quindi dell'essenza soltanto) e che l'essere è pensato come campo di eternità. Ma mi chiedo ancora che differenza fa alla fine della fiera!

Le esigenze che hanno portato Heidegger e altri a frequentare una filosofia della differenza ontologica sono del tutto snaturate qui, e soppresse. Come si può per esempio criticare la tecnica e la volontà di potenza (intesa come dominio qui) senza che ci sia una differenza fra le posizioni criticante e criticata. Questa eternità severiniana mi pare estremamente in linea con tutta la spinta metafisica verso il dominio dell'ente. Qui semplicemente si fa la (solita) estensione di quel che si vede alla totalità e alla legge, travestita per ammodernarsi, per poter possedere un granello di eternità. E allora dov'è la differenza?
 
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The Shrike
view post Posted on 7/11/2009, 23:47




So che la mia domanda è fuori luogo, probabilmente completamente.
Però leggendo mi è venuto da domandarmi: tutto ciò, a che pro?
Intendo dire. Io studio giurisprudenza, probabilmente sto cadendo troppo in questo abisso, e non vedo alcuni elemento accidentale o essenziale del vostro discorso da cui un legislatore potrebbe trarne una fattispecie generale ed astratta.
Per cui, scusatemi la mia ignoranza, ma tutto ciò...come mi cambia la vita? O come dovrebbe cambiarla alla comunità?
 
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GiuseppeMP
view post Posted on 8/11/2009, 10:48




Sgubonius, se l'essere, inteso come il Tutto assoluto includente ogni ente, fosse semplicemente un genere, allora esso non riuscirebbe ad essere "il Tutto assoluto", perché il genere è formalità, e la formalità è finitezza, astrattezza, incompletezza. La specie è la specie del finito, che è il genere, in quanto non mostra tutto l'essere (che include il genere e la specie come superati).
Poi penso che tu non abbia ben capito il significato di "eternità". L'eternità non esclude la nascita e la morte degli enti, anzi include ogni cambiamento possibile. Qualcosa è eterno anche nel senso che, eterno, incomincia ad affiorare in una certa manifestazione dell'eterno (cioé dell'essere). Ciò che cambia è eterno "come cangiante"; e ciò che non cambia è eterno "come non cangiante". L'eternità è l'esser sé degli enti. Non si può negare l'identità degli enti. Se la foglia è la foglia, è impossibile un tempo in cui la foglia non sia la foglia. E anche se la foglia non appare sempre, ciò non può significare che la foglia, in un certo tempo (passato o futuro), non sia la foglia, bensì significa che si è congedata da un certo luogo dell'apparire processuale dell'eterno.

Cosa intendi quando dici "ti invito ad esplicare anche le ulteriori tue derivazioni!"?

The Shrike, la tua domanda è legittima, ma ciò non evita la contraddizione. Nel senso che la tua domanda si muove nell'errore, cioé nel credere che le cose che vedi non siano eterne. Questo mio parlare dell'essere eterno è un rivolgermi a una dimensione più ampia rispetto a ciò per cui diciamo che esiste "la storia dell'uomo". Quest'ultima è solo uno dei contenuti dell'interpretazione dell'errore, cioé della volontà di far qualcosa, e tu, appunto, vuoi far qualcosa, fai giurisprudenza, e ti chiedi come si possa fare per cambiare le cose in meglio. Ma le cose cambiano non perché lo decidi tu o un dio : cambiano perché è inevitabile che cambino.
 
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The Shrike
view post Posted on 8/11/2009, 14:29




CITAZIONE
The Shrike, la tua domanda è legittima, ma ciò non evita la contraddizione. Nel senso che la tua domanda si muove nell'errore, cioé nel credere che le cose che vedi non siano eterne. Questo mio parlare dell'essere eterno è un rivolgermi a una dimensione più ampia rispetto a ciò per cui diciamo che esiste "la storia dell'uomo". Quest'ultima è solo uno dei contenuti dell'interpretazione dell'errore, cioé della volontà di far qualcosa, e tu, appunto, vuoi far qualcosa, fai giurisprudenza, e ti chiedi come si possa fare per cambiare le cose in meglio. Ma le cose cambiano non perché lo decidi tu o un dio : cambiano perché è inevitabile che cambino.

Molto interessante questa riflessione, Grazie :) Sbaglio, ma ci vedo un pochino di Spinoza?
 
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Sgubonius
view post Posted on 8/11/2009, 21:50




Ci sono delle analogie con Spinoza, ma credo siano solo affinità etiche (che peraltro sono comuni a molte filosofie). Poi giuseppe ti saprà dire, comunque tutti i filosofemi hanno implicazioni anche pratiche, anche se magari non è immediata la connessione, e spesso non sono "legislative" (restano in un certo campo individuale del pensatore).

Riguardo la "generalità" capisco che è ambigua, l'ho detto prima, non intendo con essa solo il genere aristotelico, ma tutto un sistema di "ripartizione" dell'essere. Se io dico che l'essere è la totalità degli enti, io dico che l'essere è l'essere degli enti, è un ente insomma, l'ente più generale. La questione della differenza ontologica nasce qui, nello strappare l'essere agli enti, nel renderlo veramente assoluto, cioè totalmente "Altro". Come puoi parlare di "assoluto" se l'essere è solo un ente fra gli altri, che si distingue per la sua totalità (ecco quindi che c'è una differenza di "genere" fra i due)?
Questo intendo con regime della "generalità": che siamo sempre ficcati dentro una concezione statica e distributiva dell'essere che dimentica ogni differenza (dimenticando quella ontologica che sta alla base). Farla finita con le analogie, le somiglianze, le categorie: ecco l'unica differenza ontologica.

Stessa cosa per l'eternità. Mi viene in mente qui la critica di Heidegger all'eterno ritorno di Nietzsche. Ma mentre essa è del tutto in malafede se applicata alla sfuggevolezza del concetto nietzschiano, si può riciclare benissimo in questo caso. Includere un cambiamento in una eternità è quello che Nietzsche chiamava: "Imprimere l'essere al divenire". Mi pare un'ottima forumula anche per la nostra questione, e allora si gioca tutta la partita in una interpretazione di questo ritornare e di questa eternità. Dicevamo all'inizio: un certo rapporto movimento-sfondo immobile.
A cosa mai può portare questa eternità? Heidegger risponde: all'ennesima e più potente dominazione dell'uomo nichilista sul mondo dell'ente, ovvero l'estrema dimenticanza dell'essere (che è evidentemente totalmente altro e del tutto inafferrabile), dimenticanza della Differenza.

La farò breve: che cosa si è perso? Si è perso un certo rapporto col mancare, con l'ignoranza, col mistero, col velamento che solo può produrre una Lichtung (per una radura ci voglio ben degli alberi intorno). Non si può cambiare niente, le cose cambiano necessariamente e secondo il loro eterno ritorno, su questo non sarò io a criticarti, ma rimane quello che Bergson chiamava l'intervallo del centro di indeterminazione, quell'après coup che fa sì che l'uomo debba ancora recitare se stesso, la Differenza. Che le cose siano eterne in poche parole si ribalta del tutto e diventa una estrema selezione per il vivente che si trovi faccia a faccia con questo pensiero: bisogna riuscire a strappare una Differenza che sia anch'essa eterna, bisogna fare la differenza ongi volta, ogni ritorno. L'eterno ritorno è il pensiero più duro e sconvolgente, perché esserne all'altezza è reinventare (da artisti) se stessi, continuamente, perché tutto è eterno tranne quel piccolo intervallo che siamo (che non-siamo si dovrebbe dire, perchè è sempre un mancare, non negativo, ma problematico).

Ho cercato di essere stringato, a scapito della chiarezza purtroppo. Ma sono sempre a disposizione. Riguardo alle "tue derivazioni" banalmente intendevo dire che se hai tralasciato qualcosa per concisione di aggiungerla al calderone! ;)
 
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alice_w
view post Posted on 8/11/2009, 22:02




CITAZIONE
(che non-siamo si dovrebbe dire, perchè è sempre un mancare, non negativo, ma problematico).

l'aspetto pauroso, l'incalcolabile. a parer mio.
 
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18 replies since 3/11/2009, 19:58   828 views
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