CITAZIONE (Sgubonius @ 22/2/2010, 02:13)
Non credo abbia molta importanza che Dio sia un concetto, uno spirito, o una persona. Dio è tale in quanto risponde a certe caratteristiche: principalmente una qualche trascendenza e una certa (iper)idealità. Non a caso il primo grande moralista e idealista, Platone, dice del Bene (Agathon) nella Eepubblica che è "epekeina tes ousias" (difficile da tradurre).
non sono d'accordo.
proprio per le ragioni che tu mostri in questo stesso passaggio.
la trascendenza (il termine più pericoloso che usi) del dio è trascendenza indipendentemente da chi/cosa trascenda.
Può, è vero, mutare la modalità, i gradi ecc: ma l'idea, la sostanza (o se preferisci lasciamo quell'ousia che è difficile da tradurre) resta tale.
Idem per l'(iper)idealità.
L'operazione che ho cercato di compiere e di descrivere è una mera descrizione del criterio quando il criterio è dio.
Del resto, mi pare di notare, non hai risposta alla domanda - a mio avviso cruciale - che ho formulato nei termini che seguono (perdona l'autocitazione):
CITAZIONE
e mi viene da chiedere: possiamo porre la domanda, al contrario? possiamo chiederci: etica/morale... "tea"?
.
del resto se l'etica e la morale fossero davvero intimamente connesse a dio l'idea di una separazione di etica/morale da dio non sarebbe neppure pensabile.
Invece questa pensabilità è provata da queste stesse discussioni.
ma probabilmente si può obiettare: guarda ego che stiamo parlando di aria fritta...
CITAZIONE
L'importante qui è capire quali sono le condizioni di possibilità dell'etica o morale, cioè dell'azione "giusta" (ed è infatti uno dei 2-3 grandi problemi platonici questo). Non si tratta tanto di fare un epoké (l'epoké ha già le caratteristiche di un diktat etico, prima ancora che gnoseologico, prevede che sia giusto far piazza pulita), piuttosto bisogna calarsi nella struttura etica, in tutta la sua complessità per orientarvisi.
guarda che l'epochè husserliana non è "giusta" è semmai corretta. ma non mi posso impelagare sul criterio che permette di dire "l'epoché è corretta", perchè premetodica (è in pratica il più grosso limite di Husserl e qui già di problematiche ce ne stanno
).
Il mio problema è proprio la condizione di possibilità dell'azione giusta.
L'azione è giusta in base ad un criterio. la scelta del criterio è qualcosa di assolutamente estraneo alla morale.
si fonda sul terreno teorico.
certo, possiamo avere delle differenze notevoli con altri settori (del resto i presupposti e gli strumenti teorici/metodici mutano a seconda che si faccia chimica o storia), tuttavia le differenze notevoli riguardano "la figura" del concetto.
Il concetto di fugura è uno dei più complessi (e forse meno noti) di Hegel.
Ma è importante, anche se non si può sviscerare il tema della figura, notare come pensare la morale in quanto azione "pura e semplice" o pensare la teoria della morale fa cambiare la figura del concetto ma non il concetto stesso.
CITAZIONE
La questione del "giusto" è infatti qualcosa più che una questione qualunque, si pensi ai primissimi pensatori dell'occidente: Anassimandro ("essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia"), Parmenide (il peri fuseos è un viaggio verso la dimora della dea Diké), Eraclito ("Occorre sapere che Pòlemos è in tutto e la giustizia è scontro e tutto accade secondo scontro e necessità"). E' proprio la giustizia la condizione di possibilità dell'etica, una necessità quindi prima della libertà che pure sembra la base dell'agire. Ma una pura libertà (il Don Giovanni in Kierkegaard, ma anche l'etica contrapposta alla morale in Hegel) non ha nessun rapporto con la giustizia come ideale trascendent(al)e.
rovescio l'argomento: poichè abbiamo la libertà possiamo fare del male o del bene: ciò ci permette il viaggio di Parmenide, l'avvertenza di Eraclito sulla Polemos.
Solo perchè si può fare indistintamente tanto il bene quanto il male, sopraggiunge l'idea (non uso il termine in senso platonico!) di darsi una calmata e di mettersi d'accordo a fare le leggi morali o razionali.
Qui il discorso di kant ci sta tutto: non abbiamo bisogno di sapere cos'è morale. ci interessa sapere il come, ovvero il "devi quindi puoi".
Il trascendentale giustizia è del resto un apriori materiale del diritto.
ma questo non significa affatto che non vi siano degli apriori sui quali si fonda la giustizia.
per dirla a chiare lettere: l'orizzonte della giustizia presuppone (poiché è incluso) l'orizzonte della libertà.
CITAZIONE
cco il retroterra (e il proseguo) da cui Kant mutua l'intuizione che l'uso trascendente della ragion pura possa avere valore regolativo in ragion pratica, che una certa necessità, cioè un Dio che vede e provvede a distribuire a ciascuno il giusto (vedi ancora Anassimandro ed Eraclito), sia necessario per tenere insieme i cocci di una morale. Questo Dio (Diké) non è certo quello di Abramo e Isacco (anche se Kierkegaard forse avrebbe da ridire), ma ciò non toglie che non siamo nemmeno nell'ateismo. Non lo è nemmeno Nietzsche, che si riempe la bocca di questa parola (Gottlos) sapendo però che in qualcosa egli è ancora fedele (forse proprio nel "los", nel manque di Dio che rimanda a certi temi della teologia negativa).
Ti dirò, a me proprio non convince quest'argomento. cioè, per me, hanno sbagliato tutti gli altri a pensare dio connesso alla morale.
Del resto noi siamo cristiani "per cultura".
i greci erano degli intellettualisti etici (sto banalizzando, voglio chiudere ma devo scappare al lavoro).
I cristiani hanno iniziato a pensare che il dio sia amore, mica pensiero che pensa se stessi.
forse destrutturando (o mettendo sotto epoché) questa abitudine mentale...
scopriremo un continente nuovo