La conoscenza di sè è così al di fuori della nostra portata; conoscermi vorrebbe dire conoscere la mia causa, la causa delle mie azioni, quindi del mio volere, di ciò che sta alla base di ogni cosa in me, cioè ciò che io voglio; ma vorrebbe dire conoscere non ciò che voglio nel senso di desiderare e poi ottenere o non ottenere, ma di ciò che io voglio al punto tale da attuarlo. La conoscenza di sè non è possibile, ma la prova del volere davvero una cosa è l'arrivare all'attuazione della cosa stessa. E' giusto che, di fronte ad una scelta, di fronte alle diverse possibilità della vita, un uomo ci pensi su, ci rifletta, sia indeciso - fino al tormento -, ma alla fine le sue azioni non possono che derivare da se stesso, da una combinazioni di desideri, di tormenti, contrastanti l'uno con l'altro, che alla fine portano alla decisione finale, la possibilità che si attua. Domandarsi "Cosa dovrei fare ora?" è inutile (nel senso che porsi o meno la domanda e trarne le rispettive risposte non determinano la scelta che si attuerà) ma è anche necessario (nel senso che l'uomo, cosciente di sè, non può fare a meno di domandarsi quale sia la scelta giusta per sè, quale possibilità fra le tante lo possano condurre ad un stato di benessere migliore). Il "pensarci su", riferito ad una cosa qualsiasi, ad una scelta qualsiasi, è solo un riflesso di ciò che succede effettivamente in me, è la parte di me stessa che rendo cosciente, che conosco superficialmente, parzialmente per esperienza di me. Io, come individuo, come qualcosa di unico, chiuso, non posso che agire secondo me stesso. Secondo cosa o chi altro dovrei agire? E' necessario che il comportamento di un individuo, come anche di ciascun essere vivente, sia indirizzato esclusivamente a se stesso. Non esiste nient'altro, per me, all'infuori di me. Non
esiste nel senso che il mio corpo è un sistema chiuso, che è finalizzato a se stesso, al proprio sostentamento, al proprio star-bene. E io, come mio corpo, non posso che pensare a me stesso. Non si tratta di egoismo inteso come nel senso comune del termine. Non credo che l'uomo sia così semplice. C'è da considerare che l'uomo, come animale sociale - ma non socievole -, ha bisogno degli altri per stare bene, e per stare bene con le persone con cui sta bene è necessario che anche queste persone stiano bene a loro volta, per esprimersi per quello che sono. E' da questo che è scaturito ogni genere d'amore, dal bisogno che si ha degli altri, si fa tutto al fine di stare bene. Viene coperto con questo divino sentimento che è l'Amore, l'amare
per amare. E non posso fare a meno di chiedermi perchè l'uomo ha pensato di fare un così grande errore. E' scappato via, ma da cosa? Semplicemente dall'idea di non essere autosufficiente. I Cristiani, coloro che parlano di questo amore caritatevole verso tutto e tutti, questo amore incondizionato, gratuito, il fatto è che i Cristiani - ne parlo a mò di esempio - non sanno accettarsi nella loro incompletezza, nel loro non essere autosufficienti, e non sanno accettare che il sentimento che appare divino, che appare dei cieli, con cui addirittura è stato denominato Dio, non è altro che un proprio profondo benessere. L'Amore è questo. Benessere. Che poi vuol dire una serie di endorfine libere di viaggiare in corpo, le senti lungo le gambe, e la schiena.
Per precisare, aggiungo che il salvataggio da supereroe (del tipo il bimbo affoga nel lago e lo sconosciuto lo salva) non può avere a che fare con l'istinto finalizzato a sè come individuo, ha infatti a che fare con il vecchio istinto di conservazione della specie(l'istinto finalizzato a sè come specie); l'individuo, appartenendo a una specie, è parte di quella specie, e tendendo a sè e al proprio benessere non può che tendere anche al benessere di quella parte specifica di sè che è la specie a cui appartiene.
Edit:
Per intenderci, non voglio dire che "l'uomo dovrebbe pensare a se stesso" e nulla del genere, ciò che voglio dire è che qualunque sia il suo comportamento, qualunque siano le sue azioni, ogni uomo pensa a se stesso e al proprio benessere; ogni individuo, in quanto individuo, ha il suo modo proprio di arrivare al fine di sè, al proprio benessere. L'altruismo può essere definito come un pompare-il-proprio-ego; è il caso in cui il sentirsi buoni (figura generalmente ammirata dalle società) appaga una gran percentuale del proprio benessere. [E così un sacco di persone si dicono con fierezza caritatevoli, e nulla di male nel farlo, ma credo che abbiano un non so che di innaturale, di "perverso", dato che il loro metodo-per-il-benessere corrisponde in modo diretto al dedicarsi-all'altro senza interesse.. anche se c'è da pensare.. ma certo, questa è l'
idea di persona caritatevole..] In ogni modo, anche il comportamento più caritatevole che si possa compiere, nasconde un egoismo - necessario, non intenso in senso negativo - di fondo, insito nel comportamento dell'uomo.