Il terzo comandamento

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view post Posted on 25/11/2021, 22:20

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Si può trovare una sommaria esposizione della dottrina cattolica sul terzo comandamento sul sito del Vaticano, che apre con la seguente citazione del comandamento (secondo la versione biblica della CEI):
« Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio» (Es 20,7).
Nella spiegazione che segue, si sostiene che il comandamento proibisce le bestemmie (definite come “proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio”), le imprecazioni (definiti come proferimenti irrispettosi verso il Signore “in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di bestemmia”), promesse fatte ad altri nel nome di Dio (come le promesse di matrimonio secondo il rito cattolico, per cui “essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di Dio”), lo spergiuro fatto nel nome di Dio (“il giuramento falso chiama Dio ad essere testimone di una menzogna”) e, a quanto pare, anche l’uso di nomi non cristiani per i battezzati[1] !

Nella cultura religiosa ebraica tale comandamento ha ricevuto ulteriori interpretazioni. Ad esempio, secondo una certa lettura, anche la preghiera potrebbe rivelarsi una violazione di tale comandamento. Infatti nel pensiero magico arcaico, si credeva che i nomi fossero potenti strumenti per evocare e controllare spiriti e forze soprannaturali. Così anche la preghiera finirebbe per confondersi con la superstizione se venisse praticata nell’attesa di qualche risultato, tipo impedire qualche calamità o offrirci qualche ricompensa. Il Dio della Bibbia, tuttavia, non può essere controllato o manipolato invocandone il nome.
Secondo un’altra interpretazione, per me la più interessante, il problema principale del Terzo Comandamento non consisterebbe nel proferimento inappropriato o irrispettoso del nome di Dio, infatti la traduzione più vicina al testo ebraico non dice “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio…” bensì “Non porterai invano il nome del Signore, tuo Dio,…”. Quindi non “pronunciare” ma “portare”. “Ciò significa che le azioni, i comportamenti e le posizioni che assumiamo nel nome di Dio non devono diffamarlo” (da Laura Schlessinger in “I dieci comandamenti”). In altre parole, il terzo comandamento si indirizza particolarmente a coloro che “portano” il nome di Dio, quindi ai credenti, che con le loro azioni e parole possono onorare o dissacrare l'immagine di Dio nel mondo.

Come potete immaginare questa interpretazione del terzo comandamento, se applicato al contesto cattolico, colpirebbe certamente il cristiano ipocrita ma colpirebbe a maggior ragione il corpo sacerdotale nel caso in cui, malgrado l’investitura sacramentale, dovesse tradire il messaggio cristiano con la parola e con gli atti. E che questa trasgressione sia straordinariamente grave è provato dal fatto che il comandamento nella sua interezza (chissà perché la citazione del Vaticano risulta troncata) afferma: “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano” (Esodo 20:7 - Versione della traduzione C.E.I.).
Tale spiegazione è assente negli altri comandamenti, suggerendo l’idea che la violazione di tale comandamento sia il più grave concepibile. Ora, tale gravità sarebbe inspiegabile (per il senso comune) se dovesse risultare che le imprecazioni religiose o il battesimo di un bambino di nome "Cesare" fossero imperdonabili da Dio a differenza ad es. di una strage di innocenti compiuta da un terrorista ateo. Diventerebbe invece più comprensibile se i peccati che il comandamento ritiene imperdonabili da Dio siano quelli commessi proprio dai sacerdoti, ovvero dai rappresentanti sacramentali di Dio in terra (si pensi al caso dei preti pedofili e di chi li copre all’interno del mondo ecclesiastico).

[1]
Come chiarito in un capitoletto dedicato al battesimo, anche il nome conferito a una persona può essere occasione di violazione del terzo comandamento perché questo sacramento si svolge « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo », quindi nel nome di Dio. Tant’è che si suggeriscono pure i nomi idonei per il battezzato: “può essere il nome di un santo, cioè di un discepolo che ha vissuto con esemplare fedeltà al suo Signore. […]. Il « nome di Battesimo » può anche esprimere un mistero cristiano o una virtù cristiana”. In ogni caso, si raccomanda che « i genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano». Il concetto verrebbe pure ribadito (ma non esattamente nella stessa forma, a rischio di qualche ambiguità) a fine articolo: “Nel Battesimo, il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. I genitori, i padrini e il parroco avranno cura che gli venga dato un nome cristiano. Essere sotto il patrocinio di un santo significa avere in lui un modello di carità e un sicuro intercessore”.
 
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